L’Ilva ammette il disastro ambientale e chiede di patteggiare (Il Manifesto)

Lo stabilimento Ilva visto dai tetti del quartiere Tamburi, 19 settembre 2013.ANSA / CIRO FUSCOL’Ilva in amministrazione straordinaria prova ad evitare il processo ‘Ambiente Svenduto’. Come? Attraverso una richiesta di patteggiamento da presentare al gup Wilma Gilli, che per il momento i tre commissari dell’azienda siderurgica hanno proposto al ministero dello Sviluppo economico. Questo perché l’Ilva dallo scorso 21 gennaio è appunto in amministrazione straordinaria concessa dal ministero presieduto dal ministro Federica Guidi, la quale nelle prossime settimane si esprimerà sulla proposta (che in caso di accettazione sarà autorizzata tramite specifico decreto da parte del MiSE), dopo l’eventuale ok che dovrà arrivare dal comitato di sorveglianza.

I tre commissari hanno messo a punto una mossa giudiziaria ambivalente. Da un lato infatti, con la richiesta di patteggiamento, la nuova dirigenza ammette le responsabilità dei Riva nella gestione dell’Ilva che ha causato il disastro ambientale per cui l’azienda è stata, in quanto persona giuridica, iscritta nel registro degli indagati e per la quale la Procura di Taranto ha chiesto al gup Gilli il rinvio a giudizio. Dall’altro però, questa mossa eviterebbe all’azienda il processo. E che vorrebbe in particolar modo evidenziare uno spartiacque tra la vecchia Ilva a conduzione familiare del gruppo Riva, per cui l’ex patron Emilio defunto lo scorso anno, ed i figli Fabio e Nicola sono coinvolti nel processo insieme ad altri imputati con l’accusa di associazione a delinquere finalizzata al disastro ambientale, e la nuova Ilva affidata dal governo ai tre commissari Piero Gnudi, Corrado Carrubba ed Enrico Laghi.

Un’azione che tra l’altro pare essere anche e soprattutto un segnale di distensione nei confronti della Procura di Taranto, visto che sia pure operando in ambiti diversi, commissari e magistrati sono rappresentanti dello Stato. Alcune fonti infatti hanno addirittura avanzato la possibilità che i commissari e la Procura di Taranto (a cominciare dal procuratore capo Franco Sebastio), possano concordare nelle prossime settimane un documento da presentare al gup Gilli. L’Ilva (che tra l’altro è già stata esclusa dalla responsabilità civile dopo l’ingresso in amministrazione straordinaria) è imputata in base alla legge 231 del 2011 sulla responsabilità delle imprese: la pena prevista in questi casi è una sanzione pecuniaria commisurata al capitale della società. Pena che potrebbe anche essere di svariati centinaia di milioni di euro. In realtà sarebbero previste anche sanzioni accessorie come la sospensione dell’esercizio dell’impresa, ma è chiaro che dopo ben sette decreti varati dai vari governi negli ultimi tre anni per tenere in piedi l’Ilva, questo non avverrà. E’ molto più probabile infatti che saranno nominate figure tecniche che controllino la situazione per conto dell’autorità giudiziaria.

Infine, fattore assolutamente non secondario, si deve ricordare che un bene sequestrato per un reato che ottiene una sentenza di condanna definitiva, viene confiscato dallo Stato: una volta avvenuto ciò, il Governo potrà nazionalizzare in via definitiva l’Ilva o venderlo ad un privato senza più ostacoli di sorta. Certo è che difficilmente qualcuno pagherà il risarcimento danni alla città e ai tarantini. Così come per le bonifiche esterne allo stabilimento. Per quelle interne infatti, si attende speranzosi di ottenere i quasi 2 miliardi di euro sequestrati al gruppo Riva dalla Procura di Milano. A tutt’oggi ancora custoditi nelle casse delle banche svizzere e dei paradisi fiscali.

Gianmario Leone (Il Manifesto)

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