Tempa Rossa: pressing sul Comune da parte della joint venture

Tempa Rossa

17_12_2008_tempa rossaTARANTO – Un documento di ben 126 pagine indirizzato al Comune di Taranto, firmato da Total, Shell e Mitsui, le tre compagnie che formano la joint venture di Gorgoglione, la località lucana dove si trovano i pozzi della concessione “Tempa Rossa”. 126 pagine a cui sono allegati i tanti documenti che hanno condito l’iter burocratico dell’intero progetto, sin dai suoi arbori (tra cui anche l’ultimo documento prodotto dall’Eni sulla presunta diminuzione di produzione di VOC, di cui abbiamo scritto lo scorso 22 dicembre).

Le prime 11 però, sono attuali. E contestano la delibera di giunta con cui il Comune di Taranto ha deciso lo scorso 5 novembre di approvare il Piano regolatore del porto, escludendo però la variante prevista per l’allungamento di 300 metri del pontile petroli in concessione all’Eni. Intervento peraltro già previsto ed approvato con una delibera approvata il 24 gennaio del 2005 dal Consiglio comunale di Taranto all’epoca dei fatti sotto la giunta Di Bello. Perché l’allungamento del pontile petroli (di ulteriori 325 metri sugli attuali 700), già all’epoca era una variante al Piano Regolatore Generale del Porto: la richiesta dell’Eni arriva il 20 giugno 2003; il 3 giugno 2004 l’Autorità Portuale invia al Comune la delibera con la quale il 31 maggio 2004 il Comitato Portuale approva la richiesta dell’Eni; il 24 gennaio 2005 arriva come detto l’ok del Comune di Taranto.

Il documento delle tre multinazionali del petrolio, chiedono infatti che il Comune ritorni sui suoi passi, reinserendo nel Piano regolatore la variante prevista per il pontile petroli. E di poter essere ascoltate dal Comune per esporre, ancora una volta, le proprie ragioni. Nel documento si contesta punto per punto quanto sostenuto dal Consiglio comunale: a cominciare dal pericolo derivante dall’aumento delle petroliere nella rada di Mar Grande, a difesa del quale vengono allegati i dati del traffico merci di altri scali italiani come Genova, Trieste, Napoli, La Spezia e Civitavecchia, dove il traffico di petroliere e navi passeggeri è ben maggiore rispetto allo scalo tarantino. Si contesta inoltre il fatto che il Consiglio comunale neghi l’ok al progetto in funzione del fatto che l’inquinamento prodotto dall’Ilva nell’area di Taranto non sia ancora diminuito: vuoi perché le emissioni inquinanti prodotte dal siderurgico sono del tutto estranee al progetto Tempa Rossa, vuoi perché ragionando in questa maniera “si dovrebbe vietare qualsivoglia attività industriale a Taranto in attesa che il problema Ilva venga risolto”.

Si contesta poi l’aumento della diffusione nell’area dell’anidride solforosa: le tre società della join venture evidenziano come tutti i progetti che il Comune vuole tutelare negando l’ok a Tempa Rossa, come le navi passeggeri, il futuro Distripark, l’aumento del traffico merci, non faranno altro che consentire l’aumento dell’anidride solforosa visto che quest’ultima è prodotta dalla combustione del carburante delle navi; e che comunque le prescrizioni concesse nella procedura di VIA-AIA prevede il non produrre ulteriore diffusione di VOC (composti organici volatili) che comunque l’Eni si è impegnata a ridurre “ante operam” (come abbiamo visto lo scorso dicembre attraverso un documento in cui tutto viene spiegato, anche se soltanto sulla carta e quindi del tutto suscettibile in quanto a credibilità e veridicità). Stesso discorso riguarda la questione “zolfo”: visto che viene ricordato che qui a Taranto non ci sarà raffinazione ulteriore del petrolio estratto nei pozzi della Basilicata riguardanti la concessione Tempa Rossa.

Si contesta anche il fatto che il Comune, a motivazione del suo no, ha indicato la mancata realizzazione del “Centro ambiente e salute”: che però di certo non compete alla tre multinazionali. E che la mancata attuazione della legge regionale sulla Valutazione del Danno Sanitario, sottolineata dal Comune, essendo stata approvata nel luglio 2012, mentre il progetto ha avuto l’ok nel settembre del 2011, non sussista in quanto la legge regionale non ha effetto retroattivo. Infine, si sottolinea come il fatto che la discussione sull’ok al progetto sia avvenuta lontano da Taranto, riguarda semplicemente l’applicazione della legge italiana in vigore: l’ok al progetto tramite VIA-AIA spetta infatti al ministero dell’Ambiente e dei Beni Culturali e in sede regionale al Comitato tecnico (di cui fanno parte anche rappresentanti di ARPA Puglia).

Come si può facilmente evincere, in un probabile ricorso al TAR di Lecce da parte di Autorità portuale, Eni e della join venture composta dalle tre multinazionali, il Comune di Taranto perderebbe a mani basse: come peraltro abbiamo più volte avuto modo di spiegare. Questo perché una vera opposizione al progetto Tempa Rossa, sarebbe dovuta avvenire nel corso degli anni (dal 2010 vi era tutto il tempo necessario per agire) e non negli ultimi mesi, come abbiamo avuto di sottolineare più volte. E’ chiaro che il documento inviato al Comune, è l’ultimo tentativo per convincere l’amministrazione comunale a rivedere le sue posizioni, onde evitare un ricorso al TAR di Lecce. Forti del fatto che comunque il governo ha dato l’ennesimo ok al progetto tramite il maxi emendamento alla legge di Stabilità dello scorso 20 dicembre. E del fatto che i lavori dell’Eni, come abbiamo avuto modo di scrivere lo scorso dicembre, proseguono indisturbati.

Gianmario Leone (TarantoOggi, 09.01.2014)

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