Ilva, il decreto dei sogni in Aula

parlamentoTARANTO – Riprende quest’oggi in aula alla Camera la discussione sul decreto legge 136 che riguarda l’Ilva e la Terra dei Fuochi. Il riavvio della discussione in aula, dopo il sì pronunciato nei giorni scorsi dalla commissione Ambiente di Montecitorio, prelude al rush finale e quindi al voto da parte dell’assemblea. Il provvedimento passerà poi al Senato per la definitiva conversione in legge che deve avvenire entro il 10 febbraio poiché il decreto è stato approvato il 3 dicembre e pubblicato il 10 dicembre sulla “Gazzetta Ufficiale”. Decreto che viene osannato dalla politica locale e da Confindustria Taranto come la panacea di tutti i mali e la svolta tanto attesa per il futuro dell’Ilva (a volte ti viene il dubbio che siano davvero così e non che stiano recitando il solito squallido copione di chi non sa nemmeno quello di cui sta parlando).

L’entusiasmo è grande soprattutto per quanto attiene alla parte relativa nel decreto sull’aumento di capitale che Bondi sarà autorizzato ad effettuare “a pagamento nella misura necessaria ai fini del risanamento ambientale”, attraverso la possibilità di offrire le azioni “in opzione ai soci in proporzione al numero delle azioni possedute”, e con “le azioni di nuova emissione che potranno essere liberate esclusivamente mediante conferimenti in denaro”. E’, infatti, previsto che il commissario Enrico Bondi avrà il potere di aumentare il capitale sociale dell’Ilva Spa chiedendo alla proprietà (il gruppo Riva) di partecipare. In caso di rifiuto, il commissario potrebbe limitare i diritti di opzione e di prelazione, ricorrere a investitori terzi per l’aumento del capitale sociale ma anche chiedere all’autorità giudiziaria lo svincolo delle somme sequestrate alla proprietà anche per reati diversi da quelli ambientali (quelli derivanti dal reato di frode fiscale contestato al gruppo dalla Procura di Milano che ha già provveduto al sequestro di 1,2 miliardi di euro ed ha scovato nel paradiso fiscale di Jersey altri 700 milioni di euro). Soldi, questi,da destinare nelle intenzioni del governo alla bonifica dello stabilimento di Taranto. Per non parlare delle risorse (almeno un altro miliardo di euro) che servirebbero per una oramai non più rinviabile manutenzione degli impianti dell’area a caldo.

Abbiamo più volte ripetuto su queste colonne come tutto questo non sia altro che il frutto di un’idea, l’ennesima, del tutto irrealizzabile. A cominciare proprio dalle risorse sequestrate che non potranno essere utilizzabili sino alla conclusione del processo sull’inchiesta milanese, peraltro nemmeno iniziato. Stesso discorso va fatto per l’ipotetico aumento di capitale, che non è chiaro con quali risorse finanziarie dovrebbe essere effettuato, visto che l’Ilva Spa non è in grado di farvi fronte. Iniezione di risorse fresche che, tra l’altro, è da sempre l’unica strada percorribile per finanziarie i lavori previsti dall’AIA rimodulati nella tempistica (ed anche nella loro attuazione) dal piano ambientale (che non è chiaro se sarà effettivamente approvato entro il prossimo 28 aprile come stabilito dal decreto). Inoltre, finché non saranno trovate le risorse per il piano ambientale, quello industriale resterà nel cassetto. Con le banche che non si muoveranno di un passo, visto che toccherà a loro finanziarlo. Tra l’altro, dopo l’incontro del 16 gennaio a Milano nella sede dell’advisor dell’Ilva, la Leonardo & Co (il secondo dopo quello avvenuto l’8 a Roma presso il MiSE), è apparso chiaro come la situazione sia tutt’altro che limpida.

Come riportato giorni addietro, secondo la Centrale rischi di Bankitalia, aggiornata ad ottobre scorso, Ilva beneficia dagli istituti di un accordato di 1,855 miliardi, dei quali 1,520 utilizzati: di questi ultimi 534 milioni sono autoliquidanti (factoring), 769 milioni a scadenza, 7,3 milioni a revoca, 197 di garanzie commerciali e 14 di garanzie finanziarie (con uno sconfino di 2 milioni). Togliendo le garanzie, degli 1,3 miliardi residui, Intesa dovrebbe essere esposta per 850 milioni, Banco Popolare per 240, Unicredit 200. Le stesse che dovrebbero finanziare il Piano Industriale 2014-2020 (che Bondi ha affidato alla McKinsey & Company) e che nel mese di settembre riattivarono i fidi bancari per far ripartire le attività delle imprese della Riva Acciaio. Possibile che tutto questo non preoccupi i nostri prodi?

E che la situazione dell’Ilva tenda al peggio, lo dimostra quanto sta accaduto ieri a Genova. Dove era in programma nella sede di Confindustria un incontro per fare il punto sui contratti di solidarietà (l’integrativo salariale). Ma a sorpresa, la direzione del personale dell’Ilva ha comunicato alle RSU l’impossibilità a garantire i livelli occupazionali previsti dall’accordo di programma del 2005. “La direzione ha comunicato alla RSU l’impossibilità di rispettare quanto previsto dall’accordo di programma in merito alla totale garanzia occupazionale del sito produttivo di Genova – è quanto denunciano in una nota i sindacati dello stabilimento Ilva di Cornigliano -. Il pronunciamento rispetto a centinaia di esuberi affermato nel corso della riunione è una affermazione che fa salire il livello di preoccupazione e tensione tra i lavoratori” prosegue la nota nella quale si sollecita la convocazione immediata del collegio di vigilanza ed una riunione con tutti soggetti firmatari dell’accordo di programma per verificare lo stato del sito produttivo di Genova “prima che la situazione occupazionale sfoci in conflitti sociali”.

A Genova, lavorano a freddo l’acciaio prodotto a Taranto. A marzo saranno ridiscussi i contratti di solidarietà per l’Ilva di Taranto per oltre 3500 lavoratori. Quest’indizi non preoccupano nessuno? Discorso analogo per lo stabilimento Ilva di Pratica in provincia di Frosinone. Dove ieri si è svolto un incontro per trovare una soluzione per i 65 lavoratori impiegati nello stabilimento per cui l’azienda mesi fa ha annunciato la chiusura. Il peggio deve ancora arrivare.

Gianmario Leone (TarantoOggi, 21.01.2014)

 

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