Ilva, parchi? Foto sì, soldi no – L’azienda mostra ai sindacati immagini patinate del progetto

copertura cimolaiTARANTO – E’ evidente che stiamo andando incontro al così detto “punto di non ritorno”. E la vicenda della copertura dei parchi minerali ne è l’esempio più lampante. Nella mattinata di ieri infatti, l’azienda ha presentato ai sindacati metalmeccanici le “fotografie” del progetto la cui realizzazione è stata affidata alla ditta Cimolai S.p.A. di Pordenone (da anni un cliente della stessa Ilva).  Come abbiamo riportato nei giorni scorsi, le dimensioni dell’area interessata (700 metri di lunghezza e 260 metri di larghezza, per un’altezza di circa 80 metri), non corrispondono affatto all’intera area parchi dell’Ilva che si estende per ben 75 ettari. Un ettaro equivale a 10.000 m2, cioè all’area di un quadrato con lato lungo 100 metri. E’ chiaro che con le misure non ci siamo proprio, nemmeno considerando i parchi minori di cui parleremo più avanti.

Ieri, oltre ad aver mostrato le foto del progetto della Cimolai, l’azienda non è andata. Soprattutto, non è stata data alcuna garanzia finanziaria per la copertura della realizzazione del progetto. Ma ciò per il segretario provinciale della Fim Cisl, Mimmo Panarelli, “problemi non ce ne dovrebbero essere. Il commissario Bondi sta facendo tutto quello che deve fare e il discorso delle risorse è legato al piano industriale che dovrebbe essere presentato entro fine dicembre. Non pongono tanta attenzione alle risorse quanto alle autorizzazioni”. E’ evidente quanto dichiarato ieri da Edo Ronchi alla Fim Cisl non è arrivato nulla. Oppure fanno finta di non sapere come stanno realmente le cose. Stando agli annunci, l’opera di copertura (il termine “totale” non è stato utilizzato da nessuno sin qui) dovrebbe concludersi entro 20 mesi: ma visto e considerato che il Piano dei tre esperti deve ancora essere approvato per decreto dal ministro dell’Ambiente Andrea Orlando, sui numeri è meglio non avventurarsi onde evitare le solite brutte figure.

Il parco loppa agli “amici” della SEMAT

Ma ieri è successo anche altro. L’azienda ha infatti annunciato di aver assegnato l’incarico per la costruzione della copertura del parco loppa (sottoprodotto del ciclo di produzione della ghisa). La costruzione costerà 35,8 milioni di euro. Il progetto è stato affidato a tre imprese: la Bedeschi S.p.A., la Semat S.r.l. e la Somin S.r.l. che si sono raccolte in Associazione temporanea d’impresa (Ati). Nel piano redatto dai tre esperti lo scorso 10 ottobre, in merito alla copertura parco loppa si legge che “la presentazione del progetto deve avvenire entro novembre 2013. A seguito dell’autorizzazione ottenuta nel tempo sopraindicato il completamento dell’intervento prevedersi deve avvenire entro dicembre 2015”. Dunque, entro 4 giorni dovrebbe essere presentato il progetto. La copertura sarà fatta a capriate (elemento architettonico, tradizionalmente realizzato in legno, formato da una travatura reticolare piana posta in verticale ed usata come elemento base di una copertura a falde inclinate: in pratica si tratta di una struttura di ripartizione in triangoli).

Come potete notare, due delle tre ditte in questione, sono vecchie conoscenze. La Somin, ad esempio, è la stessa ditta a cui sono stati affidati i lavori di spegnimento di AFO 1. La Semat, azienda di proprietà di Sergio Trombini (gruppo Trombini) che ha avuto una crescita esponenziale a partire dai primi anni ’80, dentro l’Ilva la conoscono tutti (anche se tutti fanno finta di non sapere). Non solo perché opera da anni nell’appalto del siderurgico. Ma perché rientra nel novero di quelle società “privilegiate” dal gruppo Riva attraverso l’ufficio acquisti dell’Ilva Spa con sede a Milano di cui abbiamo già parlato tempo addietro.

Del resto, non è un caso se tra i clienti della SEMAT configurano oltre al Gruppo Riva Spa e all’Ilva Spa, la “Siderurgica Sevillana SA” di Siviglia di proprietà della Riva Forni Elettrici e l’africana “Tunisia Cier Int. Biserta” di proprietà del gruppo Ilva. La SEMAT si è anche aggiudicata tutti i lavori nell’ambito AIA in merito alla chiusura degli edifici e delle aree in cui avviene la gestione di materiali polverulenti, come la “Preparazione miscela, Cokefazione, Impianto di agglomerazione, Altoforno – Caricamento materiali”. Oltre che la famosa commessa sugli 8 “fog cannon” di cui scrivemmo lo scorso luglio (ordine n.1792/13 del 22.01.2013). Insomma, gira e rigira sempre gli stessi lavorano e fanno affari all’interno del siderurgico.

Ma la storia non finisce di certo qui. Perché ieri l’Ilva ha dichiarato che “la copertura del parco avrà dimensioni di 280 metri di lunghezza, 98 metri di larghezza e un’altezza di circa 35 metri. Il deposito si estenderà quindi su una superficie di oltre 26.000 mq per una capacità di accumulo di 230.000 tonnellate”. Ed è proprio dalla quantità di tonnellate che arriva l’altro segnale del prossimo ridimensionamento dell’intero processo produttivo dell’Ilva: basti pensare che soltanto la Cementir di loppa prodotta da Ilva ne consuma un milione di tonnellate all’anno. Per non parlare di tutti gli altri clienti che acquistano il suddetto materiale dal siderurgico. Dopo il restringimento dei parchi primari, ecco arrivare la drastica riduzione della produzione della loppa. La quale, essendo un sottoprodotto del processo di produzione della ghisa, la quale a sua volta viene prodotta per riduzione degli ossidi di ferro mediante combustione di carbon coke a contatto con gli stessi all’interno degli altiforni, dimostra una cosa soltanto: che gli altiforni lavoreranno molto di meno e l’Ilva produrrà molto meno acciaio di quanto oggi si creda.

Il bluff delle BAT: l’esempio del parco OMO e agglomerato

In ultimo, ma non certo per importanza, arriviamo ai parchi omo-coke (miscela di minerali di ferro destinati alla sinterizzazione e carbon coke) e agglomerato nord e sud (sinterizzato di minerali di  ferro per gli altiforni). I progetti per la copertura di questi parchi parlano di una superficie da coprire  pari a 74.120 metri quadrati. Le coperture previste saranno formate da strutture in legno lamellare, con fondazioni in calcestruzzo armato, di forma e dimensioni differenti in funzione delle macchine operatrici che lavorano all’interno dei capannoni.
Per il parco omo-coke sono previste strutture ad arco, mentre per i parchi dell’agglomerato si prevedono edifici tronco-piramidali a pianta poligonale.

Bene. La prescrizione n. 4 dell’AIA, per il parco Nord coke e per il parco OMO, prevedeva “entro 3 mesi dal rilascio del provvedimento di riesame AIA, l’avvio dei lavori per la costruzione di edifici chiusi e dotati di sistemi di captazione e trattamento di aria filtrata dalle aree per lo stoccaggio di materiali polverulenti in accordo alla BAT n. 11, punto III”. L’Ilva però, lo scorso 13 maggio, ha inoltrato una istanza “di modifica non sostanziale” alla suddetta prescrizione: in pratica l’azienda ha proposto di sostituire i “sistemi di captazione e trattamento di aria filtrata” con “sistemi di umidificazione al posto di impianti di captazione e aspirazione”.

All’interno dei futuri edifici che saranno realizzati (siamo sempre nel campo delle ipotesi), sarà effettuato l’inumidimento della superficie tramite sostanze leganti durevoli (propriamente dette filmanti). Ovviamente, la commissione IPPC ha accettato l’istanza presentata dall’Ilva. Com’è possibile? Semplice: perché all’interno della BAT n. 11 punto III, oltre all’adozione dei sistemi di captazione, tra le tecniche “consigliate” figura anche l’inumidimento. Ecco perché abbiamo sempre sostenuto che la concessione delle BAT (migliori tecnologie disponibili) sarebbe stato un affare per l’Ilva: perché le BAT prevedono per legge che sia l’azienda a scegliere la “tecnica” migliore. Con le BREF (le tecnologie migliori in assoluto), tutto questo non sarebbe potuto succedere.

Sia chiaro. Noi non crediamo ad una virgola di quanto dichiarato dall’azienda. Né crediamo alla futura copertura totale dei parchi primari o secondari. Al contrario, quanto sopra, oltre a dimostrare che si procede ancora con gli annunci di epoca “riviana”, dimostra una cosa soltanto: che come ripetiamo da anni, l’Ilva entro qualche anno non produrrà acciaio. E che la sua dipartita, che passerà da un ridimensionamento notevole, sarà molto più veloce di quanto previsto.

G. Leone (TarantoOggi, 27.11.2013)

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