“Emilio Riva potrebbe inquinare le prove e reiterare i reati” – Le motivazioni della sentenza della Cassazione

emilio rivaTARANTO –  Per la Cassazione, il patron dell’Ilva Emilio Riva e il direttore dell’acciaieria di Taranto Luigi Capogrosso – liberi dallo scorso luglio per decorrenza dei termini dopo un anno agli arresti – sono pericolosi, quanto al rischio di inquinamento probatorio che la Suprema Corte ritiene ancora attuale, perché  hanno cercato di coprire i reati contestati con “artifici”, “strumentalizzando a tal fine anche le istituzioni religiose” facendo comparire nelle scritture contabili somme destinate alla diocesi senza dimostrarne l’effettiva consegna all’arcivescovo”. Lo afferma la Cassazione nelle motivazioni della sentenza del giugno scorso con la quale sono stati rigettati i ricorsi presentati da Emilio Riva, dall’ex direttore generale dell’Ilva di Taranto, Luigi Capogrosso, e dall’ex dirigente per le relazioni esterne Girolamo Archinà, che avevano richiesto l’annullamento dell’ordinanza del tribunale della libertà di Taranto del 14 dicembre dello scorso anno.

Per i giudici della prima sezione penale della cassazione, il tribunale della Libertà di Taranto ha ritenuto correttamente “in pericolo di reiterazione non contraddetto ne’ dalla circostanza che gli impianti sono stati sottoposti a sequestro preventivo ne’ dal venire meno delle cariche degli indagati nella azienda”. “Il tribunale – scrivono ancora i giudici della cassazione – ha dato atto che a fronte della imponente dimensione degli interessi implicati e delle gravissime conseguenze che deriverebbero agli indagati dall’affermazione di responsabilita’ il pericolo che il Riva e il Capogrosso facendo affidamento su una complessa rete di conoscenze a tutti i livelli, possano porre in essere iniziative tese ad avvicinare con finalita’ di subornare soggetti coinvolti e’ tutt’altro che astratto. A conferma di questa valutazione si e’ indicato non soltanto la vicenda relativa al consulente del pubblico ministero Liberti ma anche il contenuto di alcune conversazioni intercettate”.

Secondo la Suprema Corte, inoltre, e’ confermato il rischio di recidiva per i precedenti penali e le pendenze giudiziarie dei due. Per Capogrosso, ricorda la Cassazione, “risultano sette condanne definitive per violazione delle direttive Cee in materia di tutela della salute dei lavoratori e in materia di inquinamento dell’aria, danneggiamento aggravato, violenza privata tentata e continuata, frode processuale in concorso, omissione colposa delle difese contro gli infortuni sul lavoro, omicidio colposo ed altrettante pendenze giudiziarie per analoghe imputazioni”. Per l’ottantaseienne Riva risultano “oltre alla pendenza di sei procedimenti per i reati di omicidio colposo, estorsione, turbata liberta’ dell’industria, deturpamento e imbrattamento, getto pericoloso di cose, risultano due condanne irrevocabili per i reati di cui agli artt. 674 (getto pericoloso di cose) e 610 (violenza privata)”. Tutti questi precedenti, sottolinea ancora la Suprema Corte, diversamente da quanto sostenuto da Riva e Capogrosso, sono “elementi tutt’altro che neutri ai fini della complessiva valutazione” della loro pericolosita’. (AGI – ANSA)

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