Un convegno inutile e blindato. E privo di idee – La passerella dei ministri a Taranto

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LorenzinTARANTO – L’unica notizia è che non c’è una vera notizia. Sì, avete letto bene. Il convegno svoltosi ieri a Taranto dal titolo “Ambiente, Salute, Lavoro: un cammino possibile per il bene comune”, organizzato dall’arcidiocesi di Taranto in collaborazione con Lumsa, Università degli Studi di Bari e Politecnico di Bari, altro non è stato infatti se non l’ennesima inutile passerella istituzionale sulla vicenda dell’Ilva.

Un convegno a cui si poteva accedere soltanto rigorosamente tramite invito: il che ha significato lasciare fuori il 99% della città. Un convegno peraltro blindato sin dalle prime ore dell’alba dalla presenza di Digos, Carabinieri e Polizia: altro che apertura al dialogo e possibilità di partecipazione per tutti. Visto che le associazioni ambientaliste invitate a partecipare (rappresentate dai soliti noti) rappresentano soltanto loro stesse visto che non hanno alcuna delega per rappresentare il resto della città. Lo stesso dicasi per i sindacati confederali e metalmeccanici, presenti al completo con i loro massimi esponenti: ma di operai Ilva, nemmeno l’ombra.

Idem per i parlamentari, consiglieri regionali, ex consiglieri provinciali e consiglieri comunali presenti (tutti rigorosamente tarantini): che dell’argomento in questione poco o nulla sanno in quanto se ne sono da sempre lavati le mani preferendo le frasi fatte ad atti concreti che competevano loro. Ed anche ieri hanno dimostrato la loro totale inettitudine alla questione, preferendo girovagare per l’aula, oppure partecipando in maniera del tutto passiva al convegno. Soltanto l’assessore all’Ambiente Vincenzo Baio ha effettuato un mini intervento in cui, partendo da una citazione niente di meno che del drammaturgo e poeta inglese William Shakespeare (di cui ci è sfuggito il contenuto per l’ilarità generale scoppiata in sala stampa), ha parlato delle vertenze Vestas e Marcegaglia che ovviamente nulla centravano con l’argomento del convegno (visto che tra l’altro erano presenti i ministri dell’Ambiente e della Salute e non quelli del Lavoro e dello Sviluppo economico).

Un esercito di giacche e cravatte nonché di completi elegantissimi, hostess, e quant’altro ha fatto da contorno ad un ambiente ben ovattato ed “illuminato” da una giornata di sole primaverile. In pratica, sembrava di essere tornati indietro nel tempo ad una delle tante giornate organizzate dall’ei fu Centro Studi Ilva (era presente a tal proposito l’ex direttore Giancarlo Quaranta) che come testata abbiamo potuto soltanto “ammirare” in televisione.

Ha preferito invece scegliere la via di una presenza silenziosa il procuratore capo della Repubblica di Taranto, Franco Sebastio, che non ha più effettuato il suo previsto intervento. Una scelta di buon gusto, visto che l’inchiesta sull’Ilva è entrata in una fase cruciale (e visto che i tre grandi assenti del convegno, il sindaco Ippazio Stefàno, il governatore della Puglia Nichi Vendola e il direttore generale di ARPA Puglia Giorgio Assennato hanno marcato visita “a causa di sopraggiunti impegni”).

Dunque, come detto, nessuna vera notizia dal convegno di ieri. Nella sessione mattutina dal titolo “Dalla scienza le proposte per una produzione sostenibile”, si è affrontato nel dettaglio il tema degli interventi che si dovranno effettuare sugli impianti dell’area a caldo dell’Ilva. Luca Di Nardo, che fa parte dello staff del sub­commissario Ilva Edo Ronchi, si è addirittura sbilanciato sostenendo che il modello Duisburg è applicabile anche per Taranto. Dimenticandosi, tra le tante cose, di citare un piccolo particolare: che lì i lavori sono iniziati nel 1998. Ma tant’è. Vi risparmiamo il report di ore noiosissime in cui in realtà non si è detto nulla di nuovo.

In realtà, il clou del convegno stava tutto nella sessione pomeridiana dal titolo “Prospettive concrete per la questione ambientale”. Non fosse altro per la presenza del ministro dell’Ambiente Andrea Orlando e del ministro della Salute Beatrice Lorenzin (con una platea ben più ricca rispetto alla mattina, con la presenza del Questore e del Prefetto di Taranto, oltre che di tante “personalità” importanti del tessuto politico-economico-sanitario della città). Il ministro della Salute ha fatto una toccata e fuga, regalandoci un intervento in stile pubblicità “Mulino Bianco”. Scenetta che poi è proseguita nella visita all’ospedale “Moscati” di Paolo VI dove ha visitato i malati oncologici, addirittura commuovendosi durante un breve dialogo con un paziente. La Lorenzin è dunque scesa a Taranto per ribadire concetti sin troppo noti. “La vicenda Ilva é molto complessa e ognuno deve fare la sua parte”; “Il ministero della Salute ha stanziato 10 milioni di euro non solo per sbloccare il turn over di questa realtà ma anche per garantire i livelli minimi di assistenza”; “Quello che ho chiesto e chiederò (delle due l’una) alle autorità regionali è di avere un rendiconto continuo e monitorato di quello che accade per poter verificare direttamente con le mie direzioni lo stato di salute dei cittadini di Taranto e cercare di poter fare tutto il possibile per migliorare la situazione”; “Le contrapposizioni tra salute e lavoro rappresentano delle ferite e non fanno parte di un paese avanzato”; “C’é un piano di monitoraggio in atto insieme alla Regione per le persone malate e le persone che speriamo non si ammalino, quindi i nascituri. Nello stesso momento stiamo continuando a monitorare animali e terreni”; “Lo screening sanitario va allargato oltre i confini della città per verificare se c’é la contaminazione del prodotti e dei mangimi per gli animali”. Ma di dati nuovi, nemmeno a parlarne. Tra l’altro, quei 10 milioni di euro sono stati già spesi: risorse alle quali la Regione ha aggiunto peraltro altri finanziamenti. Di nuovi interventi per Taranto però, il ministro non ne ha parlato. Meno che mai di esenzione ticket per i tarantini. Chapeau.

Più loquace il ministro dell’Ambiente Andrea Orlando, che le carte quanto meno se l’è lette. E che pur non rivelando nulla di nuovo, ha almeno avuto il coraggio di confermare la linea di pensiero dello Stato italiano sulla vicenda Ilva. Il siderurgico deve continuare a produrre: vuoi perché è strategico per l’economia nazionale, vuoi perché dalla vendita dell’acciaio arriveranno i proventi per attuare le prescrizioni AIA. Che non è stata annacquata dal “Piano di lavoro” dei tre esperti che ha rimodulato la tempistica delle prescrizioni (peraltro al momento al ministero non è pervenuta alcuna osservazioni al piano da parte delle amministrazioni, quando il termine ultimo scade domenica) peraltro rivedibile e migliorabile in corso d’opera. Sarà.

Ciò detto, giunti in sala stampa il ministro Orlando e l’arcivescovo di Taranto Santoro, abbiamo provato con le nostre domande a parlare di qualcosa di concreto. Ad esempio abbiamo chiesto al ministro cosa accadrebbe nel caso in cui si verificasse che gli interventi previsti dal piano di lavoro dei tre esperti, mancassero della relativa copertura economica. A quel punto che si fa? Ma per il ministro questa possibilità non esiste. L’1,8 miliardi di euro previsti per i lavori basteranno. Nel caso, si proverà ad aggredire i beni dei Riva, possibilità che però lo stesso Orlando ha dichiarato molto difficile. Tra l’altro, i soldi previsti per l’attuazione dell’AIA giungeranno tutti attraverso il credito finanziario elargito dalle banche (in pratica l’Ilva Spa di Bondi appena nata ha già un debito consistente sulle sue spalle). A noi pare da sempre un piano alquanto fragile.

Abbiamo inoltre chiesto al ministro chi si prenderà la responsabilità politica allorquando ad AIA ultimata (entro il 2016 ce la faranno i nostri eroi?) ci si dovesse accorgere (ma l’uso del condizione per noi è un semplice eufemismo) che l’Ilva inquina ancora e quindi continuerà a produrre fenomeni di malattie e morte negli operai e nei cittadini di Taranto (evento di per sé già dimostrato dalla Valutazione del Danno Sanitario di ARPA Puglia e dagli studi dell’ISDE). La risposta è stata che la responsabilità politica sarà di tutti gli attori attualmente in campo. La maggior parte dei quali però molto probabilmente nel 2016 non sarà più in politica.

Infine, dopo le tante belle parole espresse al termine del convegno nel suo discorso, abbiamo chiesto a monsignor Santoro se non sentisse il bisogno di chiedere scusa a tutta la città di Taranto a nome della Curia tarantina, per quanto fatto e non fatto nel lontano e recente passato. Del resto, tutti questi valori cristiani sbandierati ai quattro venti, in concreto si dovrebbero pur manifestare. Magari è arrivato il momento di chiedere scusa per anni di silenzi ed indifferenza sulla problematica ambientale. Oppure chiedere scusa per le parole di monsignor Benigno Papa che ebbe a dichiarare, invitato a partecipare alla manifestazione di Altamarea del novembre 2009, che “quello che non dovrebbe accadere è cavalcare la giusta tematica della salvaguardia dell’ambiente per motivazioni strumentali, cioè non tanto perché stia veramente a cuore questo problema, ma perché dalla protesta si possa ricavare un qualche utile personale o di gruppo.

Qualora dovesse accadere questo, dovrei pensare che ci sia un inquinamento spirituale che è peggiore dell’inquinamento ambientale”. Oppure chiedere scusa per aver accettato negli anni le laute “beneficenze” di Emilio Riva. Oppure chiedere scusa per aver consegnato all’ex braccio destro del patron Girolamo Archinà, il premio “Cataldus d’argento” 2011. Oppure perché un esponente della Curia, don Marco Gerardo segretario dell’ex arcivescovo di Taranto monsignor Benigno Luigi Papa, è stato raggiunto da un avviso di conclusione delle indagini preliminari lo scorso 30 ottobre nell’ambito dell’inchiesta sull’Ilva portata avanti dalla Procura di Taranto. Ma la risposta di monsignor Santoro, come del resto ci aspettavamo, è stata la più “democristiana” possibile.

Dato per assodato che al momento degli eventi in questione “mi trovavo in Brasile” (ma infatti è lui che oggi dovrebbe chiedere scusa per gli errori passati altrui), “da quando sono arrivato ho sempre provato la via del dialogo con tutte le parti in causa per cercare unità e condivisione nella difesa dei diritti alla vita, alla salute, all’ambiente e al lavoro, chiedendo giustizia per questa città, gli operai ed i suoi abitanti” (il che non gli è stato affatto rinfacciato). Ma quanto a chiedere scusa, bhé: “Ognuno risponderà davanti a Dio dei propri peccati”. Eppure, il 30 ottobre 1992, il Vaticano tramite Papa Giovanni Paolo II, chiese scusa a Galileo Galilei. Dopo 359 anni, 4 mesi e 9 giorni. Per ripensarci, dunque, c’è ancora tempo. Abbiate fede. Amen.

 Gianmario Leone (TarantoOggi, 08.11.2013)

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