Ilva, Riva si gioca il tutto per tutto

andrea-orlando-ministro-21 (1)TARANTO – Prima una lunga riunione a palazzo Chigi presieduta dal sottosegretario alla presidenza del Consiglio Filippo Patroni Griffi, a cui hanno partecipato il commissario Ilva Enrico Bondi, il ministro dell’ambiente Andrea Orlando e il viceministro allo sviluppo economico Claudio de Vincenti. Poi un incontro al MiSE tra il ministro Flavio Zanonato e Bruno Ferrante, dimissionario presidente Ilva e inviato a Roma come rappresentante della Riva Forni Elettrici.

Il governo Letta prova a fare il punto della situazione ma, per ora, non riesce a venire a capo dell’ultima vicenda che ha travolto il settore della siderurgia italiana. L’obiettivo, come dichiarato sia dal premier che dal ministro Zanonato al termine dei due incontri, è quello di vedere se esiste il modo per attuare un nuovo commissariamento, come avvenuto per lo stabilimento di Taranto. Per questo i tecnici dei vari ministeri, soprattutto quelli del ministero di Grazia Giustizia, sono impegnati in queste ore per verificare se esiste la possibilità di attuare un percorso giuridico per procedere in tal senso. Anche perché, il serio rischio che si corre in questo momento è che qualora il gruppo Riva Acciaio ricorra contro un’eventuale azione di commissariamento da parte del governo, se tale atto non avesse tutti i crismi della certezza giuridica, si rischierebbe una sconfitta in tribunale che avrebbe del clamoroso.

E’ infatti anche e soprattutto per questo motivo che da parte del governo è in atto, nelle ultime ore, una fortissima pressione sul gruppo Riva affinché riapra gli stabilimenti e riprenda la produzione negli stabilimenti chiusi la scorsa settimana. A differenza di tutte le altre volte infatti, anche l’esecutivo questa volta si è accorto che la serrata del gruppo Riva nei confronti degli stabilimenti del Nord, è stata una vera e propria rappresaglia contro i lavoratori, e non l’atto dovuto sostenuto dal gruppo all’indomani dell’ultima azione della magistratura tarantina. Che nella giornata di sabato, attraverso il procuratore capo Franco Sebastio, ha chiarito come non solo il sequestro riguardi essenzialmente “beni immobili, partecipazioni in altre società, quote azionarie, automezzi, impianti, macchinari e solo in minima parte disponibilità finanziarie”, ma soprattutto che “il provvedimento di sequestro non prevede alcun divieto d’uso” e che il custode amministratore giudiziario “è autorizzato a gestire eventuali necessità di ordine finanziario”.

Il governo, dunque, dopo aver letto la nota del procuratore Sebastio, crede alla Procura di Taranto, nonostante anche ieri il gruppo Riva abbia ribadito che l’atto notificato loro a firma del gip di Taranto, Patrizia Todisco, non autorizzi alcuna facoltà d’uso degli impianti. In una nuova nota ufficiale diramata ieri infatti, il gruppo sostiene che dopo il nuovo atto di sequestro le banche finanziatrici “che erano tornate a riattivare i fidi, ne hanno immediatamente disposto il congelamento totale o la revoca; il blocco degli impianti e dei conti correnti impedisce alla società di svolgere, in questi giorni, non solo la normale attività produttiva, ma anche operazioni minimali, quali pagare le utenze o gli spedizionieri per la consegna dei materiali già venduti”.

In pratica, lo stesso copione di quando la Procura di Taranto sequestrò il materiale prodotto dall’Ilva lo scorso 26 novembre, con l’azienda che minacciò la chiusura di tutti gli impianti Ilva in Italia con la conseguente mobilità per migliaia di lavoratori. Peccato che addirittura lo stesso premier Letta abbia dichiarato ieri come l’azienda possa continuare la sua attività “anche con i conto correnti bloccati dal sequestro”. Intanto però, lo stesso Ferrante al termine dell’incontro di ieri ha ribadito che il gruppo Riva Acciaio presenterà ricorso in Cassazione contro un atto che “riteniamo illegittimo”, per poi affermare che si chiederà un chiarimento alla Procura per vedere se sia possibile “riprendere al più presto l’attività produttiva”. Ipotesi che di fatto dovrebbe però escludere il ricorso in Cassazione: o l’atto della Procura è illegittimo, oppure se non lo è si riaprono i cancelli delle fabbriche e non si presenta alcun ricorso.

Ma si sa, la coerenza non è mai stata il punto di forza del gruppo Riva. Già oggi, intanto, ci dovrebbe essere un incontro tra il gruppo Riva e il custode amministrativo giudiziario Mario Tagarelli. E’ bene infatti ricordare che il custode è amministratore di un pezzo dell’azienda, la Riva FIRE, l’Ilva Spa è commissariata dallo Stato, mentre l’altro ramo d’azienda, appunto la Riva Acciaio è ancora in capo alla famiglia. Dall’esito dell’incontro di domani, dunque, dipenderà quanto programmato per giovedì, il giorno previsto dal gruppo Riva per chiedere al ministero del Lavoro il ricorso alla cassa integrazione per i 1.400 dipendenti “messi in libertà” negli stabilimenti di Veneto, Lombardia, Piemonte e Liguria. Dunque, ancora non si arrendono all’evidenza. Su queste colonne per anni, e poi soprattutto dalla scorsa estate, abbiamo sostenuto come quello dell’Ilva e dell’impero del gruppo Riva, fosse oramai un ciclo destinato ad una lenta ed inesorabile estinzione. Ed è così che finirà. E’ solo questione di tempo.

Gianmario Leone (TarantoOggi, 17.09.2013)

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