Ilva, Mater Gratiae: primo ok nel ’95. Tutti hanno sempre saputo

TARANTO – Questa città è davvero strana. E’ come se attendesse sempre che qualcun altro s’interessi ai suoi problemi, spesso e volentieri a suo discapito, per poi intraprendere sterili ed inutili battaglie che non vanno mai oltre la denuncia sui social network, comunicati stampa ed esposti in Procura che, pur se ampiamente documentari, lasciano sempre il tempo che trovano. Ci riferiamo, ovviamente, all’ultima querelle nata in seno all’Ilva: l’ennesimo decreto ad hoc di un governo per “facilitare” il ciclo vitale (che si esaurirà inevitabilmente tra non più di qualche anno) del più grande siderurgico d’Europa, oramai meglio conosciuto come “sito strategico nazionale”. Oggi tutti s’indignano per la vicenda della Mater Gratiae, che come riportammo lo scorso maggio su queste colonne, ha una storia lunghissima, esattamente quanto la gestione Riva: ben 18 anni. La prima puntata la si ritrova in un documento stilato a Roma e datato 28 giugno 1995, a firma del ministero dell’Ambiente e del ministero dei Beni Culturali, che altro non era che il rilascio di VIA per il progetto della discarica.

Quel giorno si decideva per l’approvazione del “progetto sottoposto a valutazione di impatto ambientale (VIA) riguardante le due discariche di seconda categoria rispettivamente di tipo B e C, da realizzarsi all’interno dell’area industriale Ilva di Taranto in una zona già utilizzata per l’attivia estrattiva e precisamente all’interno di un’area dismessa di una vasta cava di materiale calcareo, denominata Cava Mater Gratiae”. Già nel ’95, dunque, si parlava di una cava profondamente alterata dall’attività estrattiva e profonda 30-35 metri, distante 3 km in linea d’aria da Taranto, Statte, Massafra e Crispiano.

Peraltro all’epoca si prevedeva che il 70% della capacità di smaltimento dei rifiuti era da destinare all’attività produttiva dell’Ilva, mentre il restante 30% avrebbe dovuto soddisfare le esigenze di smaltimento esterne delle province di Taranto e Lecce. In quel documento, tra l’altro, già s’intravedeva la linea di pressapochismo che sarebbe seguita nei decenni a venire: “in linea di massima non sembrano esserci elementi di incoerenza tra il progetto Ilva e i programmi esistenti sulla previsione di produzione dei rifiuti”. E che le nostre istituzioni conoscano a fondo il problema, lo evidenziano le istanze, osservazioni e pareri presentati dal comune di Statte (20 gennaio e 12 aprile 1994), comune di Taranto (25 gennaio 1994) e Provincia di Taranto (25 gennaio e 23 aprile 1994): una vita fa. Cosa ancora più grave, in quel documento che di fatto riteneva il progetto dell’Ilva compatibile con le caratteristiche del sito, si denunciava il non pervenuto parere della Regione Puglia “nonostante i vari solleciti”. Si rilasciava così l’ok al progetto prescrivendo una serie di provvedimenti che non è dato sapere se siano mai stati realizzati. Questo è l’incipit della storia. A cui seguirono altri capitoli.

Dopo 15 anni infatti, con determina datata 11 maggio 2010, la Regione Puglia (non pervenuta nel 1995) rilasciava il provvedimento di VIA (Valutazione d’impatto ambientale) a favore del progetto dell’Ilva (“Discarica per rifiuti speciali non pericolosi prodotti dallo stabilimento Ilva di Taranto e dalle aziende partecipate presenti nel territorio della provincia in area Cava Mater Gratiae, in agro di Statte”), presentato nel luglio 2004 (anno in cui partì l’iter per il rilascio dell’AIA): un ampliamento tecnologico della discarica ritenuto “imprescindibile” dall’azienda (fondamentale per ottenere l’ok sull’AIA). I Comuni di Taranto e Statte ricorsero al TAR: il tribunale amministrativo dette ragione all’Ilva, in quanto la Regione aveva proceduto al rilascio della VIA dopo aver più volte sollecitato le due amministrazioni a prendere parte al procedimento, e dopo che anche la stessa Ilva aveva più volte inviato la documentazione agli uffici competenti senza avere risposta alcuna (presenti nel ’95, i Comuni di Taranto e Statte 15 anni dopo fecero registrare un “preoccupante” silenzio). Ma nella sentenza del Tar di Lecce del marzo 2011, si leggeva anche dell’altro. Ovvero che “in particolare è stato rilevato che dai dati presentati la presenza delle discariche Ilva non influenza la qualità della falda acquifera. Anche con riferimento all’impermeabilizzazione, l’Ilva ha provveduto ad adeguarsi alla prescrizioni della Provincia”.

E qui arriviamo ad un altro, nuovo capitolo. Siamo a Roma, è il 15 marzo del 2011: nella sede del ministero dell’Ambiente è in programma un’importantissima Conferenza dei Servizi Decisoria “per acquisire le intese ed i concerti previsti dalla normativa vigente in materia d’approvazione dei progetti di bonifica concernenti l’intervento sul “Sito di Interesse Nazionale di Taranto”. Il verbale di quella conferenza vide per la prima volta la luce durante l’audizione della V Commissione Ambiente della Regione Puglia del 1 giugno del 2011, che poi licenziò il testo della legge sul “Piano Bonifiche delle falde acquifere” una settimana dopo, l’8 giugno. Da quella data però, della legge in questione non si è più avuta notizia. In quel verbale, in merito alle discariche “ex Cava Due Mari” e “Mater Gratiae”, erano riportate varie osservazioni e prescrizioni. “In corrispondenza di queste due discariche deve essere eseguito il monitoraggio della falda, attraverso dei piezometri che devono essere ubicati a monte e a valle idrogeologico rispetto a ciascuna discarica presente nell’area”. Inoltre, considerando che le linee di flusso della falda sotterranea presenti in quell’area hanno diversa orientazione, “si ritiene che debbano essere opportunamente previsti dei pozzi da posizione uno in corrispondenza di ciascun lato della discarica ad una distanza massima dalla stessa pari a 500 metri e alla profondità che si dimostri idonea per monitorare tutta la falda sottostante le discariche in questione”.

Tutto questo è stato mai fatto? L’Ilva ricorse al TAR di Lecce contro tutte le osservazioni e le prescrizioni presenti nel verbale. Inutile dirvi, infine, che l’Ilva, proprio in relazione alla discarica “ex 2^ categoria di tipo “B Speciale” in area Cava Mater Gratiae” e “ex 2^ categoria di tipo C”, mise a bilancio un intervento di investimento totale di 8.010.000 €, di cui una parte concluso addirittura nel 2008, dal titolo “L’investimento ha introdotto una nuova tecnologia in grado di garantire un alto grado di protezione dell’ambiente attraverso lo smaltimento dei rifiuti in impianto appropriato, garantendo inoltre una sensibile riduzione della movimentazione dei rifiuti”.

E quanti si chiedono se oggi la falda superficiale e profonda è inquinata, pongono un quesito banale. Già chiarito all’epoca. In quel famoso verbale, si sosteneva come il Piano di Caratterizzazione sito-specifico presentato dall’Ilva fosse incompleto, vista “la perdurante assenza della conseguente Analisi di Rischio che deve concorrere alla definizione dei nuovi valori soglia al fine di stabilire definitivamente il livello di effettivo inquinamento”. Inoltre, venivano chiariti due punti di snodo fondamentali per giungere alla verità sull’effettivo livello di inquinamento della falda. Primo: “per gli analiti quali metalli e metalloidi la competenza sulla definizione dei valori di fondo è dell’Arpa Puglia”. Proseguendo nel verbale, si specificava, non senza ironia, che per gli “analiti quali Cianuri totali, benzo(a)pirene, cromo totale, mercurio, piombo etc, la loro esclusiva natura antropica rende un ossimoro la loro ricerca come elementi naturali…”.

Che la falda fosse profondamente inquinata, tanto da richiedere l’estrema urgenza di messa in sicurezza, lo certificava la stessa Ilva attraverso una nota (inviata e protocollata DIR/28 del 16/04/2010, acquisita dalla Direzione Generale TRI del Ministero dell’Ambiente nell’ambito del procedimento del rilascio dell’AIA), in cui vengono riportati i dati dei piezometri effettuati per stabilire la qualità delle acque superficiali e di quelle profonde. E sia nella falda di superficie con “manganese, ferro,alluminio, arsenico, cromo esavalente e cianuri totali per gli inorganici, mentre i contaminanti organici riscontrati sono IPA, BTXES e diversi composti clorurati”, sia nella falda profonda con “piombo, ferro, manganese,alluminio, cromo totale, nichel e arsenico mentre per gli inquinanti organici si è avuto il superamento per triclorometano, tetracloroetilene, diversi IPA”, i campioni superavano di tre o più parametri il valore limite di accettabilità. Da allora sono passati tre anni.

Il terreno che ospita la Mater Gratiae occupa 1.500.00 m3 (un’enorme cava la cui ampiezza è pari a circa 1000 campi di calcio posti uno di fianco all’altro) ed è una delle discariche più grandi d’Europa, si trova nel territorio del Comune di Statte ed è all’interno del siderurgico, ma soprattutto la sua autorizzazione all’utilizzo è in prorogatio dal lontano 2006. Secondo la normativa italiana vigente, qualunque attività di recupero, tra quelle contemplate dall’Allegato C alla parte quarta del Testo Unico Ambientale (D. Lgs. 152/06), deve possedere determinate caratteristiche impiantistiche e, di conseguenza, specifiche autorizzazioni. Nel corso degli anni, singoli operai hanno denunciato come gli enormi cumuli di rifiuti non poggino su alcuna pavimentazione impermeabilizzata; né posseggono alcun sistema di raccolta delle acque meteoriche e di dilavamento. Ancora oggi è così?

Ciò vorrebbe dire che tutte le sostanze nocive accumulate sul terreno sono confluite per anni nella falda sottostante determinando un inquinamento che si protrarrà nei decenni a venire. Per non parlare delle dispersioni di polveri e particolato in atmosfera. In quell’area la magistratura negli anni ha effettuato diversi sequestri (legnami contaminati, pneumatici fuori uso e fanghi del canale di scolo). Nel corso degli anni sempre singoli operai hanno denunciato l’enorme quantità di cumuli di fanghi essiccati di colore nerastro: che fine abbiano fatto oggi è sin troppo facile intuirlo. Tutto questo i nostri politici (locali e romani), lo hanno sempre saputo. Così come i sindacati metalmeccanici (oltre a Confindustria e agli imprenditori tarantini che operavano con le loro ditte nell’indotto) che oltre ad aver taciuto per decenni, hanno anche abilmente lasciato isolare i pochi operai che denunciavano e chiedevano chiarezza su quanto avveniva all’interno dell’Ilva.

Tutto questo è stato denunciato su queste colonne (e sul sito inchiostroverde.it) nel corso degli anni, restando puntualmente ignorato. E vedere oggi tutta questa indignazione ipocrita fa davvero sorridere. Dopo decenni di omertà, consapevole ed inconsapevole, oggi si chiede a gran voce il rispetto delle regole. Si chiede di conoscere la verità sull’inquinamento della falda. Ci s’indigna per i decreti ad hoc dello Stato in difesa del siderurgico. Ma se tutto ciò avviene ancora oggi, è perché questa città resta divisa, ipocritamente in conflitto al suo interno, perché in troppi hanno tanti scheletri nell’armadio di diversa natura. La realtà non si cambia con le parole. Ma con l’esempio e i fatti. Che oggi ancora in troppo pochi attuano.

Molti gridano allo scandalo ed invitano alla rivolta, restandosene poi comodamente a casa. L’estate scorsa abbiamo avuto un’occasione irripetibile per sovvertite la realtà: cittadini e operai insieme, uniti per la prima volta. Abbiamo lasciato che quella forza si disperdesse nel vento. Ed oggi, a distanza di un anno, divisi come non mai, nessuno ha in mano un piano “B” alternativo alla grande industria. Siamo sempre lì, fermi nello stesso punto, al bivio del solito ricatto occupazionale: a parole, però, siamo tutti dalla parte della salute (ci mancherebbe altro). Poi, però, incapaci di decidere, fermi a quel bivio, vediamo scorrere le sagome delle anime che nel frattempo ci lasciano. Per sempre. Con la possibilità di un futuro diverso che si allontana sempre più all’orizzonte.

Gianmario Leone (TarantoOggi, 28.08.2013)

 

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