Ilva, si ferma l’AFO 2 – Con la scusa della crisi di mercato…

Ilva Ue Taranto

TARANTO – Inizieranno questa mattina le operazioni per la fermata dell’altoforno 2 dell’Ilva, annunciata lo scorso 12 giugno dall’azienda, a causa della “crisi del mercato siderurgico”. Stanotte è avvenuta la carica di materiali per consentire poi l’ultima colata di ghisa: nelle previsioni fornite dall’azienda ai sindacati, l’impianto dovrebbe restare inattivo per circa tre mesi, periodo nel quale, utilizzando la fermata, sempre secondo l’azienda saranno effettuati, addirittura in anticipo sul programma dell’AIA (evento più unico che raro in tema di prescrizioni), i lavori di risanamento. Nei giorni scorsi sono state eseguite tutte le operazioni preliminari per lo stop dell’altoforno 2, la cui produzione a regime ammonta a circa 5.000 tonnellate di ghisa al giorno. Col blocco dell’impianto, l’Ilva produrrà con solo con due altiforni (il 4 e il 5), essendo l’1 fermato l’8 dicembre scorso e con il 3 inattivo da tempo e prossimo alla dismissione.

La fermata dell’AFO 5, che da solo realizza il 40-45% della produzione del siderurgico, dovrebbe fermarsi a giugno del 2014. La fermata dall’altoforno produrrà come effetto domino anche la fermata dell’acciaieria 1, che già oggi si predisporrà al blocco con un assetto di marcia ridotto. Rispetto ai tre mesi previsti per l’altoforno 2, lo stop dell’acciaieria 1 sarà minore e per l’intero periodo lo stabilimento siderurgico andrà avanti con una sola acciaieria, la 2. Per l’AFO 2, secondo quanto spiegato dai tecnici Ilva, non ci sarà quella che in gergo viene chiamata la colata della “salamandra”, ovvero di quella parte di ghisa che col tempo si deposita nella parte bassa dell’altoforno e non viene mai fatta fuoriuscire.

Con questo nuovo stop la produzione giornaliera di ghisa scenderà da 17-18mila tonnellate al giorno a 14-15mila. Prima che si fermasse l’altoforno 1 la produzione si era attestata sulle 21-22mila tonnellate di ghisa al giorno. Sul piano occupazionale, la fermata di questi impianti produrrà 7-800 esuberi temporanei che non andranno in cassa integrazione, ma beneficeranno dei contratti di solidarietà, secondo l’accordo che Ilva e sindacati sottoscrissero lo scorso marzo al ministero del Welfare (in un primo momento l’azienda annunciò la richiesta di cassa integrazione straordinaria per 6.500 lavoratori, l’ennesima minaccia poi ritirata). Con i nuovi 7-800 esuberi, sale dunque a 2mila su un totale di 11mila il numero dei dipendenti temporaneamente fuori dal ciclo produttivo. Questo per quanto riguarda i dettagli tecnici dell’operazione. Perché come scrivemmo nelle scorse settimane, la decisione dell’azienda potrebbe nascondere ben altro.

Visto e considerato che nella versione ufficiale, più di qualcosa non torna. In conseguenza della fermata l’Ilva ha infatti comunicato che “anticiperà” i lavori di risanamento previsti dall’AIA, l’Autorizzazione integrata ambientale, per l’impianto AFO 2. Ma quella che per l’azienda rappresenta un’anticipazione dei lavori, è nella realtà dei fatti una delle tante prescrizioni su cui l’Ilva è palesemente in ritardo. Per l’AFO 2, la commissione IPPC che ha riesaminato le prescrizioni della prima AIA concessa all’Ilva il 4 agosto 2011, ha previsto il processo di “Depolverazione Stock House”, che riguarda l’abbattimento delle polveri generate nel processo di lavorazione dell’acciaio: l’intervento previsto dovrà riguardare sia i campi di colata che le cosiddette stock-house dove vengono depositati i materiali di carica dell’impianto. Il sistema di depolverazione per l’AFO 2, stando a quanto scritto dai tecnici dell’Ilva nella seconda relazione trimestrale sull’applicazione delle prescrizioni AIA datata 27 aprile, sarebbe già stato ordinato. L’AIA concessa lo scorso 26 ottobre però, prevedeva che questo tipo di lavoro venisse attuato immediatamente. Invece, nell’ultima relazione trimestrale inviata al ministero dell’Ambiente, per la prescrizione n.16 che è quella riguardante l’AFO 2, l’azienda scrive che le attività sono in corso e che si concluderanno entro il 31 gennaio del 2014.

Non è un caso infatti se, già nella prima relazione trimestrale dopo l’ispezione dei primi del mese di marzo, nelle 11 prescrizioni su cui l’Ilva era in ritardo i tecnici ISPRA rilevarono anche il mancato intervento di depolverazione per l’AFO 2. I dirigenti Ilva hanno anche sostenuto che questi lavori di risanamento permetteranno all’azienda di avere un altoforno pronto e moderno nel momento in cui il mercato dovesse ripartire. Dunque, non è detto che ciò accada. E comunque non prima dell’inizio del 2014. Mercato permettendo. Ma più di qualcosa lascia pensare che ciò non avverrà. Del resto, l’Ilva può continuare tranquillamente a marciare con AFO 4 e AFO 5. Inoltre, è molto probabile che per ora si proceda a piccoli lavori di risanamento, visto che le risorse finanziarie per attuare l’AIA non ci sono.

E che la stessa AIA a breve potrebbe essere rivista dal comitato dei tre saggi che saranno nominati dal sub commissario Edo Ronchi. Non è un caso del resto se, mentre l’area a caldo viene lentamente fermata, l’area a freddo “pare” lentamente in ripresa. Nei giorni scorsi, infatti, sono ripartiti i “Rivestimenti” tubi e sono rientrati in funzione settimane addietro anche i Tubifici 1 e 2, l’altro tubificio “Erw”, parte del Laminatoio a freddo, e uno dei due (il 2) Treno nastri (il 1 è stato nuovamente fermato). La ripartenza è avvenuta più per una questione di nuovi ordini, soprattutto perché l’Ilva ha ancora stoccato un quantitativo di bramme da lavorare. Che fanno parte dello stock di un milione e 700mila tonnellate di merci che il gip di Taranto, Patrizia Todisco, dopo aver sequestrato lo scorso 26 novembre a metà maggio dissequestrò riconsegnandole all’azienda col deposito della sentenza della Consulta che il 9 aprile giudicò costituzionale la legge 231 del 2012. Tutto a norma di legge. Finché questa sceneggiata non arriverà alla sua naturale conclusione.

Gianmario Leone (TarantoOggi, 01.07.2013)

 

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