La Cementir oggi al Comune

TARANTO – Sono passati esattamente due mesi da quando il presidente e ad della Cementir holding, Francesco Caltagirone Jr, durante l’assemblea degli azionisti del 18 aprile annunciò che l’investimento di oltre 150 mln di euro previsto per il progetto “Nuova Taranto Cementir”, destinato all’“ampliamento degli impianti produttivi esistenti ed il recupero di efficienza e competitività dello stabilimento produttivo di Taranto”, era stato congelato e rinviato a data da destinarsi. Decisione di cui demmo notizia su queste colonne lo scorso 23 aprile nell’indifferenza generale di politica e sindacati, oltre che degli altri mass media locali. Poi, appena sabato scorso, siamo venuti a conoscenza del fatto che per questa mattina alle ore 9 presso la sala consiliare di Palazzo di Città, la commissione Ambiente ed Ecologia del Comune presieduta da Vincenzo Di Gregorio ha convocato il direttore dello stabilimento tarantino Paolo Graziani e dal direttore di Cementir Italia Mario De Gennaro, per fare il punto della situazione.

Lo scorso aprile l’azienda approvò il bilancio 2012 (utile netto più che triplicato a 16,462 milioni di euro) e la distribuzione di un dividendo di 0,04 euro in pagamento a maggio. Il 2012 ha registrato dunque una crescita del gruppo, ed anche nel 2013 si prevede un +10% del margine operativo lordo, superiore ai 150 milioni di euro (138,054 milioni di euro nel 2012) e ricavi in aumento oltre il miliardo di euro (976 milioni nel 2012). Questo nonostante nel primo trimestre 2013 il fatturato sia in linea rispetto al budget ma più basso dell’anno scorso (195,4 milioni nel primo trimestre 2012) a causa “del marzo più freddo del Nord Europa e il più piovoso in Italia”, che ha impattato sulla produzione e quindi sulla vendita di cemento. La previsione è che questi cali saranno recuperati nel corso dell’anno.

Perché allora congelare il progetto “Nuova Taranto”? Il motivo è semplice: perché per la Cementir continuare a produrre in Italia non conviene. Presente in 16 paesi, il mercato italiano (che rappresenta una quota dei ricavi intorno al 13/14%) ha riportato un risultato operativo negativo per 24,3 milioni: in pratica, senza l’Italia, l’utile netto del gruppo sarebbe volato oltre i 30 milioni. Che fare dunque? Primo, congelare gli investimenti previsti come il “revamping” dello stabilimento di Taranto. Tra l’altro, le previsioni di mercato parlano di una ripresa che avverrà non prima dei prossimi 4-5 anni. Il progetto (che aveva ottenuto un finanziamento di 90 mln di euro dalla Banca Europea degli Investimenti ed un finanziamento pubblico a fondo perduto dalla Regione Puglia garantito dal Fondo europeo per lo sviluppo regionale nell’ambito del programma operativo 2007-2013) prevedeva il rifacimento dell’impianto di macinazione e la costruzione di un nuovo forno (al posto dei 3 esistenti), la dismissione di parte dell’impiantistica in esercizio dagli anni ’60, l’integrazione delle nuove linee con i servizi ausiliari e alcuni impianti, l’integrale sostituzione della linea clinker (costituita da mulino del crudo, forno, recuperatore termico, precalcinatore, griglia di raffreddamento e deposito del clinker) e la sostanziale riqualificazione della linea cemento.

Nelle previsioni del gruppo, questi lavori avrebbero mantenuto invariata la capacità produttiva annuale del sito di Taranto: 1 milione e 200mila tonnellate di cemento e 800mila di clinker. Ma vista l’aria che tira, la Cementir ha deciso di congelare il tutto. “Abbiamo fatto una doppia valutazione – spiegò ad aprile Caltagirone Jr -: da quando è partito l’investimento il mercato è calato del 30%”. Ma non c’è soltanto questo: perché il ciclo di vita della Cementir è direttamente legato all’Ilva, di cui utilizza le loppe (sottoprodotto del processo di produzione della ghisa) d’altoforno.

Se l’Ilva dovesse chiudere o ridurre drasticamente il ciclo produttivo, difficilmente Caltagirone terrà in vita un impianto vetusto per cui servirebbe acquistare loppa altrove, gravando ulteriormente sui costi. Ed infatti lo stesso ad aprile affermò che “oggi a Taranto dobbiamo considerare anche le problematiche dell’Ilva. Al momento non vale la pena investire 150 milioni: è più conveniente andare avanti con il vecchio impianto”. Che poi questo vada a discapito dell’ambiente, poco importa. Nel “congelatore”, potrebbe finire anche la il co-inceneritore previsto. Inserito nel progetto grazie “all’ideona” del governo Monti e del ministro dell’Ambiente Corrado Clini, che produssero il Decreto n.22 del 14 febbraio 2013 entrato in vigore il 29 marzo scorso, che autorizza i cementifici a bruciare il Cdr, oggi chiamato combustibile solido secondario (Css) e non più considerato un rifiuto.

Ciò detto, in attesa di assistere all’audizione della commissione odierna (vi aggiorneremo domani sull’esito, ndr), la nostra idea è che la Cementir sia pronta ad un ridimensionamento dello stabilimento di Taranto che porterà ad un’inevitabile chiusura dello stesso. Non è un caso se proprio lunedì, nella sede di Confindustria Roma, l’azienda ha annunciato la chiusura totale dello stabilimento di Arquata, entro il primo di ottobre (che occupa 72 lavoratori) ed un ridimensionamento per Taranto, salvando per ora i siti di Maddaloni e Spoleto. Chi vivrà vedrà.

G. Leone (TarantoOggi, 19.06.2013)

 

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