L’Ilva “produce” un altro ferito – Ieri operaio ustionato

TARANTO – Continuano a verificarsi senza soluzione di continuità gli incidenti sul lavoro all’Ilva. Ieri mattina infatti, un operaio ha riportato ustioni di primo e secondo grado al palmo della mano sinistra in seguito ad una fiammata che si è sviluppata mentre tagliava un perno con un cannello nel reparto Treno Nastri 2 dello stabilimento di Taranto. Il lavoratore era impegnato sul sistema di apertura portine di sfornamento con l’ausilio di cannello ossitaglio: a quanto si è appreso pare che l’operaio sia stato investito dalla fiammata generata da una fuoriuscita di gas. Immediatamente soccorso, è stato trasportato all’ospedale Santissima Annunziata dove è stato giudicato guaribile in 15 giorni.

Il lavoratore, il 50enne Giovanni De Santis, è dipendente di una ditta esterna di Torricella che lavora nell’appalto Ilva: la “Iris s.r.l.”. Quello avvenuto ieri è il settimo incidente che si verifica all’Ilva dall’inizio dell’anno. L’ultimo, appena cinque giorni fa, era accaduto nel reparto PLA 2 (Area Produzione Lamiere) dello stabilimento. Mentre era intento a regolare delle guide che servono a mettere in linea le lamiere, il piede destro del 37enne Mario Gelo di Francavilla Fontana (Brindisi) era rimasto incastrato tra la stessa lamiera e il rullo, causando la frattura scomposta della caviglia. L’operaio, ricoverato in ospedale nel reparto di Ortopedia, è stato giudicato guaribile con una prognosi di 35 giorni.

Il reparto produzione lamiere 2 dove si è verificato il penultimo incidente, era ripartito lo scorso 21 marzo dopo un periodo di fermo, per preparare le lamiere che consentiranno, in questi giorni, la rimessa in marcia dei Tubifici 1 e 2 del siderurgico. L’infortunio di ieri, come detto, è avvenuto al Treno Nastri 2, che era invece ripartito nella prima metà di dicembre, dopo la chiusura dell’intera area a freddo decisa dall’Ilva come ritorsione al sequestro dell’acciaio prodotto sino al 26 novembre da parte della Procura di Taranto. Il TNA/2 è entrato in esercizio nel 1973 ed è stato ammodernato “per la prima volta nel 1992, mentre nel periodo 2000-2008 ha subito ulteriori e continui miglioramenti”, secondo quando recita il sito ufficiale dell’Ilva.

Ha una produzione massima di 6 milioni di tonnellate all’anno di nastri con spessori da 1.5 a 12 mm e larghezza da 800 a 2120mm. Il Treno Nastri 1, entrato in esercizio nel 1964, ha una storia ben più travagliata: basti pensare che i lavoratori operanti nell’impianto sono in cassa integrazione dal lontano 2008. Nei giorni scorsi, complice l’annunciata ripartenza dell’area produzione lamiere e dei tubifici 1 e 2, è stata avanzata l’ipotesi di un prossimo ritorno in funzione dell’impianto. Il TNA/1 aveva una produzione massima di 3,6 milioni di tonnellate all’anno di nastri, con spessori da 1.5 a 8 mm e larghezza da 700 a 1560 mm. Il treno nastri è quindi uno degli impianti più importanti dell’intero stabilimento: situato nell’area a freddo, è il reparto in cui la bramma prodotta dalla colata continua, viene trasformata in nastro avvolto (coils) attraverso un processo di deformazione a caldo chiamato laminazione.

Ciò detto, a differenza di quanto avvenuto per l’incidente del 29 marzo, nella giornata di ieri sia l’Ilva che tutto l’arco sindacale ha preferito non commentare l’accaduto. Del resto, dopo le parole pronunciate venerdì scorso, l’idea di restare in silenzio è da ritenersi alquanto saggia. Visto che il direttore Ilva, l’ing. Antonio Lupoli, aveva pensato bene di redarguire il personale tutto ricordando che “non bisogna mai abbassare i livelli di guardia sulla sicurezza”. Mentre il segretario generale della Fim Cisl Ta-Br, sottolineava come non fosse possibile “riproporre alle cronache quotidiane notizie che vanno in controtendenza con l’impegno che noi tutti da sempre profondiamo”.

Che l’Ilva sia oramai un’azienda sospesa in un limbo di un eterno ed incerto presente, lo dimostrano proprio questi continui infortuni sul lavoro. A farne le spese, ancora una volta, i lavoratori. Ovvero coloro i quali hanno permesso alla famiglia Riva di creare negli anni un impero con pochi eguali nel mondo. E che hanno pagato e continuano a pagare un prezzo indegno per portare avanti la produzione di un sito industriale giudicato strategico per l’economia nazionale. Ma intanto a pagare sono sempre e soltanto i lavoratori e i cittadini di Taranto. “Ogni individuo ha diritto al lavoro, alla libera scelta dell’impiego, a giuste e soddisfacenti condizioni di lavoro ed alla protezione contro la disoccupazione (Articolo 23 della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, 1948)”.

Gianmario Leone (TarantoOggi, 03.04.2013)

 

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