L’Ilva e la meteora Bondi

TARANTO – Ci mancava soltanto questa. Una notizia che in realtà è una non notizia. Un bisbiglio, una voce, un pettegolezzo corroborato da una serie di condizionali. Ma tanto basta da queste parti per dare fiato alla bocca e inchiostro alle stampe. A quanto pare Bruno Ferrante, l’ex prefetto di Milano che dal 10 luglio è diventato presidente dell’Ilva, avrebbe intavolato una trattativa con l’ex commissario della spending review Enrico Bondi. Il supermanager, sempre stando ai rumor, dovrebbe diventare l’amministratore delegato dell’Ilva e sarebbe il nome giusto per dialogare con le istituzioni (politica e magistratura, vista la gestione del caso Parmalat). Per lui parla il curriculum ed un’esperienza pregressa nel mondo dell’acciaio, avendo risanato nei primi anni duemila la bresciana Lucchini.

La “gioia” di Fim Cisl e Uilm Uil

Tanto è bastato per far eccitare la Fim Cisl e la Uilm Uil, che ieri hanno diramato comunicati stampa a firma dei segretari nazionali, carichi di parole di giubilo e speranza. Il segretario nazionale della Fim Cisl, Marco Bentivogli, ha salutato la nomina di Bondi sostenendo come “insieme al presidente Bruno Ferrante, potrà dare un governo industriale più efficace, in una fase straordinaria in cui è ancora più importante che la gestione aziendale sia lineare e determinata al raggiungimento degli obiettivi di riorganizzazione dell’impresa, ambientalizzazione e recupero di competitività”. Il segretario della Fim Cisl ritiene anche “che il tandem Bondi-Ferrante rappresenti l’equilibrio giusto per un’Ilva capace di una svolta nella gestione industriale, in un migliore rapporto con le istituzioni, il sindacato e con il territorio”.

“Ci auguriamo che sia la soluzione giusta per un gruppo che non può più essere guidato da una proprietà che è stata decimata”: questa l’illuminante intuizione avuta da Rocco Palombella, segretario nazionale della Uilm, quando siamo a quasi un anno dal sequestro dell’area a caldo e dagli arresti dei vertici del gruppo Riva. Anch’egli accoglie con favore la ventilata nomina di Enrico Bondi come amministratore delegato dell’Ilva. “In questo momento – dice Palombella che ieri è intervenuto all’assemblea del sindacato a Taranto – c’è la necessità di manager liberi da condizionamenti e di persone che hanno a cuore le sorti di una città ancora legata alla monocultura dell’acciaio. Bondi è persona competente e capace. Il gruppo ha bisogno di una guida sicura, saggia e spendibile sul mercato. E’ la figura giusta per dare tranquillità e anche seguito agli investimenti annunciati”: un modo nemmeno troppo elegante che, di fatto, delegittima quanto fatto sino ad ora da Ferrante. Per fortuna, almeno la Fiom Cgil ha pensato bene di evitare di commentare una notizia che sino a ieri sera non aveva trovato alcuna conferma da parte dell’Ilva e della Riva Fire.

Ma chi è Enrico Bondi?

Aretino, classe ’34, laureato in chimica, è uno dei migliori manager italiani nel campo del risanamento di grandi imprese in crisi. E’ alla Fiat che si afferma come top manager, quando tra il 1990 e il ’93 è responsabile del raggruppamento difesa e spazio del gruppo torinese. Successivamente si occupa del recupero della Montedison dopo il crack dei Gardini, poi del risanamento della Parmalat, anche qui successivo al default finanziario dell’azienda di Calisto Tanzi, azienda passata ai francesi di Lactalis con mille polemiche sul suo operato. Il suo mentore fu Enrico Cuccia, storico presidente di Mediobanca, che gli ha lasciato un unico, fondamentale insegnamento: nessuna dichiarazione in pubblico se non per esporre in Parlamento o in tribunale il proprio operato. Perfetto, quindi, per lo “stile” del gruppo Riva. Come detto, Bondi si è occupato anche di acciaio: in particolare delle aziende del gruppo Lucchini ed infine ha tentato, invano, di risanare il gruppo Ligresti durante la costituzione del polo assicurativo Fonsai (che fu un buco nell’acqua perché si scontrò immediatamente con l’anziano patron Salvatore Ligresti).

Ma cosa c’entra Bondi con l’Ilva?

Questi, dunque, i numeri del curriculum di un manager di livello internazionale. Ma cosa c’entra con l’Ilva un uomo che si è sempre occupato di gestire crisi finanziarie e salvataggi impossibili di grandi aziende? E’ pur vero che il gruppo Riva vanta un debito di quasi tre miliardi di euro con le banche, ma certamente siamo lontani dai 31.500 miliardi di lire della Montedison e dai 13,5 miliardi di euro della Parmalat. Inoltre, l’Ilva non è un’azienda prossima al fallimento, visto che ha previsto investimenti per 2,5 miliardi di euro per sostenere i costi del risanamento degli impianti previsti dall’AIA. Inoltre l’Ilva non è un’azienda in crisi, visto che continua a produrre. E paga regolarmente gli stipendi. Oltre a far lavorare migliaia di operai in tutta Italia.

Certo, continua ad inquinare, come testimoniano le ultime relazioni redatte da ARPA Puglia e ISPRA. L’Ilva è infatti un’azienda sotto inchiesta, con tutti i vertici divisi tra i domiciliari e il carcere (il vice presidente del gruppo Riva Fire è beatamente residente a Londra, ma si spera che a breve venga estradato per rendere conto del suo operato alla giustizia italiana e alla città di Taranto). L’Ilva, inoltre, non ha ancora presentato un piano industriale degno di questo nome. Così come non ha realizzato alcun piano investimenti che garantisca la copertura finanziaria per i lavori di risanamento degli impianti inquinanti. Ed ha concluso da poco un accordo con i sindacati metalmeccanici, in cui si prevedono oltre 3mila esuberi ed oltre 11mila contratti di solidarietà sino al marzo del 2014. Inoltre, il 9 aprile la Corte Costituzionale dirà una parola importante in merito alla costituzionalità della legge ‘salva-Ilva’.

Prendi i soldi e scappa

Ciò detto, ammesso e non concesso che l’arrivo di Bondi sotto le ciminiere Ilva si realizzi per davvero, molto probabilmente sarà quello il primo vero passo d’addio del gruppo Riva. Perché un manager come Bondi, non accetterà mai di sostituire a tempo i vertici del gruppo sino alla loro eventuale reimmissione in libertà. E certamente non arriva per gestire i conti di un’azienda per un anno o due. Il suo ruolo, come recita il suo curriculum, è ben diverso. Gestisce fallimenti. Cessioni o passaggi di proprietà. Ed è molto abile a difendere i vertici delle aziende che lo assumono. Basti pensare che quando gestì il caso Parmalat, riuscì a farsi restituire dalle banche oltre 2 miliardi di euro. Ecco: i Riva potrebbero puntare su Bondi per gestire la loro uscita dall’Ilva, recuperare quanti più soldi è possibile dalle banche e magari da una futura vendita. Non certo per salvare Taranto e i suoi operai. Ma questo i nostri sindacati e le tante menti finissime che abitano in questa città lo capiranno nel tempo. Non prima di qualche mese. O anno. Auguri.

Gianmario Leone (TarantoOggi, 23 marzo 2013)

 

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