Ilva, oggi a Roma per la cassa

TARANTO – Per sindacati metalmeccanici e operai Ilva, oggi è il giorno “X” per il futuro dello stabilimento di Taranto. O quanto meno una parte importante di esso. Questo pomeriggio infatti, con inizio alle 17, al ministero del Welfare riprenderà il confronto sulla cassa integrazione straordinaria chiesta dall’Ilva sino al dicembre del 2015 per un massimo di 6417 unità, “a causa” della fermata degli impianti per i lavori di risanamento ambientale imposti dall’AIA. Da venerdì scorso e sino a ieri, sindacati e azienda hanno condotto una serie di verifiche area per area e fatto un bilancio della situazione. A fronte della richiesta aziendale di attivare la cassa integrazione straordinaria, sin da subito Fim, Fiom e Uilm hanno risposto chiedendo in prima istanza una drastica riduzione dei numeri ed in secondo luogo di trovare soluzioni alternative come ad esempio i contratti di solidarietà.

Questo per evitare, sempre secondo il pensiero dei sindacati, che una prolungata inattività, in conseguenza alla sospensione dal lavoro, abbia pesanti ripercussioni economiche sui lavoratori. Al termine delle verifiche area per area avvenuto ieri, il quadro di partenza è stato di poco modificato: rispetto al numero iniziale massimo di 6417, vi è stata una riduzione di circa 380 unità. Sino all’ultimo si è sperato in una sottrazione ulteriore anche nell’area ghisa, ma l’incontro di ieri pomeriggio si è concluso senza un’intesa tra le parti. Oggi pomeriggio, però, nella sede del ministero del Lavoro i sindacati torneranno a chiedere all’Ilva un’ulteriore diminuzione rispetto ai nuovi numeri concordati per lo stabilimento di Taranto. Sempre secondo i sindacati, “ammesso che in cassa vadano effettivamente 6mila persone, questo accadrà solo nel secondo semestre del 2014 quando è previsto il picco di fermata impianti, non certo adesso.

Per tutto il 2013, invece – sostengono i sindacati -, l’Ilva ha chiesto la cassa per 4354 unità ed è quindi su questi numeri che si deve ragionare”. Considerato poi che nei numeri della cassa l’Ilva ha inserito anche reparti attualmente in produzione, come la Finitura nastri 2, il Tubificio ERW e i Rivestimenti, e considerato che a fine mese riparte il Treno lamiere mentre il 2 aprile riprendono i Tubifici 1 e 2, i sindacati ritengono che alla fine dell’incontro di oggi si possa ipotizzare una cassa integrazione straordinaria per circa 3mila unità. Eppure sono oltre 2400 i lavoratori già sospesi tra quelli che stanno smaltendo le ferie arretrate e quelli che avendo esaurito anche le ferie pregresse, sono comunque fuori dalla fabbrica in attesa che si individuino nuovi ammortizzatori sociali.

“Alla nostra obiezione sul perché nella cassa siano contemplati anche gli addetti agli impianti in produzione, l’Ilva – dicono ancora i sindacati – ci ha risposto affermando che il mercato è variabile e nulla ora può garantire che questi impianti, fra qualche tempo, si debbano fermare per la crisi. Oltre a gestire le fermate dell’AIA, l’azienda, in pratica, vuole mettersi al sicuro con questa procedura di cassa per non doverne poi riaprire un’altra”. Nell’incontro odierno si parlerà anche dei contratti di solidarietà, visto che la scorsa settimana il presidente Ilva Bruno Ferrante, si era detto disponibile a valutare questa soluzione alternativa. Difficile comunque ipotizzare che oggi si arriverà ad un accordo generale, visto che la Fiom Cgil, dopo non aver firmato né l’accordo sulla cassa in deroga per 1100, né il verbale che invitava l’Ilva a ridurre la cassa per 6417, non ha firmato nemmeno gli accordi raggiunti in questi giorni nelle singole aree dello stabilimento.

Ciò detto, come scriviamo da mesi e come ribadito anche ultimamente su queste colonne, resta da capire che senso ha discutere di tutto questo a fronte del fatto che l’Ilva non ha ancora presentato né il piano industriale, né il piano investimenti che certifichi la copertura finanziaria per tutti gli interventi previsti dall’AIA. E qualcosa ci dice che la presentazione dei due piani non avverrà nemmeno quest’oggi. Anche perché l’Ilva attende di conoscere la decisione del Riesame sul ricorso avverso la decisione del gip di Taranto che ha ordinato ai custodi giudiziari di vendere il milione e 700mila tonnellate di acciaio sequestrato lo scorso 26 novembre. In ballo ci sono circa 800 milioni per i custodi, 1 miliardo per l’azienda: certamente non bruscolini. Soldi su cui l’Ilva vuole rimettere le mani in ogni modo.

Per sostenere i costi dell’AIA, dicono dall’azienda. Sarà. Di certo, la relazione dell’ARPA Puglia che ha messo nero su bianco i ritardi e le inadempienze dell’Ilva nel rispetto del calendario e delle prescrizioni imposte dal ministero dell’Ambiente, non è un segnale incoraggiante. Ma prima di tirare conclusioni affrettate, meglio attendere la relazione dei tecnici ISPRA. Ciò detto, è assurdo che l’eventuale e a tutt’oggi ancora in alto mare risanamento degli impianti debba ricadere sulle spalle dei lavoratori. Così come è inaccettabile che il costo di questi interventi venga, è proprio il caso di dire “ammortizzato”, dall’intervento dello Stato con la concessione di una cassa integrazione straordinaria per migliaia di lavoratori ed il conseguente risparmio dell’azienda su migliaia di stipendi che invece andrebbero pagati regolarmente a chi ancora oggi, nonostante i tanti errori del passato e le titubanze del presente nell’intraprendere finalmente una lotta seria, mette a rischio ogni giorno la propria vita varcando i cancelli del più grande siderurgico d’Europa. “Non voglio raggiungere l’immortalità con il mio lavoro. Voglio arrivarci non morendo” (Woody Allen).

Gianmario Leone (TarantoOggi, 14.03.2013)

 

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