Ilva, al via le indagini su morte Moccia

TARANTO – Hanno preso il via ieri, su disposizione del pm Ida Perrone in qualità di magistrato di turno al momento dell’accaduto, gli accertamenti tecnici irripetibili nell’area della batteria 9 delle cokerie Ilva dove giovedì mattina ha perso la vita in un incidente sul lavoro l’operaio 42enne Ciro Moccia, mentre un suo collega di lavoro, Antonio Liddi, è rimasto ferito in modo grave riportando fratture in diverse parti del corpo giudicate guaribili in 40 giorni. Dell’inchiesta è titolare il pm Antonella De Luca, della sezione “Infortuni sul lavoro e malattie professionali” della Procura di Taranto.

Gli accertamenti sono necessari per stabilire l’esatta dinamica dell’incidente e le eventuali responsabilità. L’impianto dove si è verificato il sinistro era in manutenzione per rifacimento in quanto rientra nelle prescrizioni dell’Autorizzazione Integrata Ambientale rilasciata all’Ilva lo scorso 26 ottobre dal ministero dell’Ambiente. I due operai sono precipitati da un’altezza di oltre dieci metri per il cedimento improvviso del piano di carico.

Come riportato ieri, il pm ha iscritto nel registro degli indagati otto persone per il reato di concorso in omicidio colposo. Tra queste figurano il direttore dello stabilimento Ilva di Taranto, Antonio Lupoli, alcuni dirigenti del reparto cokerie e i responsabili della ditta MR, che opera nell’appalto del siderurgico, della quale é dipendente Liddi. Il quale ieri, ancora in evidente stato di choc, al personale del Servizio di Prevenzione e Sicurezza negli Ambienti di Lavoro ha dichiarato di non ricordare nulla dell’incidente.

L’operaio è peraltro ancora molto debole a causa del trattamento farmacologico e dagli interventi chirurgici subiti per ridurre le numerose fratture riportate nella caduta. Bisognerà quindi attendere che si riprenda dal trauma per ascoltare e verificare la sua versione dei fatti.

Intanto gli investigatori hanno iniziato ad ascoltare i colleghi di Liddi e Moccia, che nelle loro disposizioni hanno confermato la dinamica dell’incidente. I due operai dovevano ripristinare un binario sul quale transita la macchina di carica che alimenta i diversi forni dell’impianto per aggiustare una lastra che si era dissaldata.

La lamiera su cui sono saliti ha ceduto di schianto, con i due lavoratori che sono caduti all’interno della stessa batteria nove spenta per lavori di ristrutturazione. Sempre ieri mattina negli uffici della procura della Repubblica è stato affidato ad un consulente l’incarico di ricostruire la dinamica dell’incidente, valutando anche l’effettiva sicurezza dell’area.

L’incarico è stato affidato nell’ambito di un accertamento tecnico irripetibile per evitare di sequestrare l’area interrompendo così le attività di risanamento e creare ulteriori rischi sul luogo per gli altri lavoratori. Anche i difensori degli indagati hanno incaricato due ingegneri consulenti di parte per seguire l’accertamento.

Certo è che più di qualcosa in questo incidente è quanto meno sospetto. Ad esempio pare che Moccia e Liddi abbiano lasciato la postazione su cui erano all’opera per scendere su una copertura di lamiera sottostante che non ha retto. La copertura di lamiera era collocata una trentina di centimetri sotto al luogo in cui Moccia e Liddi stavano lavorando e pare che fosse comunque un luogo precluso al transito.

L’inchiesta avviata dalla Procura dovrà ora accertare, oltre ad eventuali responsabilità terze, perché i due operai si trovassero in quel posto e soprattutto se la loro sia stata un’azione personale o invece hanno risposto all’ordine impartito da qualcuno. Giovedì il segretario generale della Fiom di Taranto, Donato Stefanelli, ha affermato che la copertura in lamiera non era fissata a punti fermi e che per questo sarebbe crollata.

Quel che è certo è che quest’incidente non è stata una fatalità. O un evento imprevedibile. E’ un evento che ha responsabilità chiare ed oggettive: servirà solo il tempo di trovare tutti i responsabili. Ma più di qualche testa è destinata a cadere questa volta. Non é un caso il silenzio del presidende dell’Ilva Bruno Ferrante, che non ha ancora avuto o voluto trovare il tempo per dire due parole sulla morte di un lavoratore dell’Ilva. Così come non é un caso il silenzio dell’area comunicazione, sempre solerte nel riempire di comunicati stampa le caselle di posta dei gionali per sostenere le proprie tesi.

Perché qui c’è poco o niente da negare, da discutere, da polemizzare. Qui c’è un padre di famiglia, un marito, un figlio, morto. Forse é arrivato davvero il momento di dire basta. La città e la società tarantina dovrebbero trovare il modo per stare accanto agli operai Ilva e convincerli che é arrivato il momento di chiudere con il passato. Non é più accettabile vivere con il terrore e la paura di perdere il lavoro, rischiare ogni giorno la propria vita, lasciare nel dolore i propri cari, per uno stipendio a fine mese. Per paura di denunciare i soprusi e le ritorsioni che si vivono quotidianamente.

Se non c’è sicurezza all’interno dell’Ilva lo si dica chiaramente. Se ci sono accordi scandalosi che mettono a repentaglio la vita e la salute dei lavoratori, che lo si denunci chiaramente una volta e per tutte. Senza attendere il prossimo morto. E’ arrivato il momento di dimostrare di essere una città unita, seria, solidale. Non soltanto a parole. O per pochi giorni durante l’anno. “Il capitale non ha riguardo per la salute e per la durata della vita dell’operaio, quando non sia costretto a tali riguardi dalla società” (Karl Marx).

Gianmario Leone (TarantoOggi, 02.03.2013)

 

 

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