L’Ilva, il “vento” e il minerale

TARANTO – E’ bastato un semplice soffio di vento per “regalare” al mare di Taranto 50 chili di materiale fossile ‘bachatsky’, che in quel momento stava venendo scaricato allo sporgente II del porto di Taranto dalle stive della motonave Kambanos, battente bandiera maltese. Il carico di 81.000 tonnellate era ovviamente destinato ai parchi minerali dell’Ilva. Immediato è partito l’allarme con l’arrivo sul posto delle motovedette della capitaneria di Porto e dei mezzi della società Ecotaras, specializzata in interventi di disinquinamento e chiamata molto spesso in causa negli ultimi tempi, grazie ai regali di Ilva ed Eni che con grande “solidarietà” da decenni si danno il cambio nell’avvelenare il nostro mare ogni secondo di ogni singolo giorno.

Gli addetti della Ecotaras hanno subito circoscritto la zona per evitare che il minerale se ne andasse allegramente in giro per la rada di Mar Grande. Contemporaneamente, gli uomini della capitaneria di Porto hanno avviato le indagini per comprendere l’esatta dinamica dell’incidente. Dell’accaduto è stato prontamente informato anche il ministero dell’Ambiente, che da Roma ha “seguito” le operazioni del servizio di prevenzione inquinamento. Nella nota diffusa dal ministero si legge però che “la dispersione di una piccola quantità di polvere di coke” sarebbe “avvenuta ieri sera durante le operazioni di scarico della nave carboniera maltese Kambanos”.

Secondo il rapporto della Capitaneria di porto, “sul posto, é stata rilevata la presenza di una macchia compatta lungo l’imbarcazione, che si è formata quando la polvere di coke si è posata sull’acqua”. Le operazioni di scarico della nave “sono state immediatamente sospese mentre l’intera area interessata é stata circoscritta con panne galleggianti antinquinamento”. Ovviamente non poteva di certo mancare la nota ufficiale dell’Ilva. Che ha immediatamente provveduto a tranquillizzare tutti, sostenendo che “la dispersione in mare di polvere di coke non ha determinato “alcuna emergenza” ambientale. Non si tratta di materiale pericoloso e la quantità trasportata dal vento è esigua”. Del resto, cosa volete che siano 50 chili di minerale “volato” via in mare? Peraltro in una zona già di per sé altamente inquinata e per questo inserita da anni nel SIN (Sito d’Interesse Nazionale) di Taranto? E poi, che colpe può avere l’azienda se quest’anno il Dio Eolo ha deciso di farle più di qualche dispetto?

L’Ilva, infatti, nella nota mette immediatamente le mani avanti, sostenendo che “prima dello scarico si è provveduto come da procedura al bagnamento attraverso gli appositi fog cannon. La presenza del vento e la composizione particolarmente fine del carico hanno determinato lo spolverio del minerale che è caduto in prossimità della nave”. I “fog cannon” al II sporgente del molo di Taranto? Questa notizia ci lascia alquanto perplessi. Non fosse altro per le caratteristiche dei così detti “cannoni di nebbia”. Nella scheda tecnica si legge infatti che quest’ultimi emettono “un potente getto di una miscela aria/acqua finemente nebulizzata che crea una nube di nebbia non tossica e non nociva in grado di abbattere velocemente le particelle in sospensione”. Non è un caso del resto se questa tecnologia è adottata in vari impianti come la centrale termoelettrica Enel di Brindisi e due acciaierie situate in Gran Bretagna appartenenti al colosso siderurgico indiano Tata Steel. Lo scorso settembre, quando l’Ilva annunciò il famoso piano d’interventi da 400 milioni sonoramente bocciato da Procura e gip, tra i vari interventi previsti vi era “l’umidificazione dei cumuli di polveri presenti nei parchi minerali tramite l’uso di idranti e cannoni umidificanti (cannon fog)”.

Ci risulta dunque quanto meno arduo immaginare che vi siano dei fog cannon installati al II sporgente, non fosse altro perché con il loro potente gettito, potrebbero causare più danni che altro. Ciò detto, né l’Ilva né il ministero dell’Ambiente ha avuto il coraggio di spiegare ai cittadini di Taranto il perché, ancora oggi, nel 2013, basti una semplice folata di vento (ammesso e non concesso che la responsabilità di quanto accaduto ieri mattina sia da attribuire realmente ad un evento atmosferico, visto che anche nelle foto scattate il mare risulta stranamente molto poco mosso) perché si verifichino eventi del genere. Ad esempio, nessuno dice che negli atti d’intesa sottoscritti nel dicembre del 2004, era prevista la “copertura delle linee di trasporto in quota da molo (2° e 4° sporgente) a parchi materie prime”. Sono passati oltre 8 anni. Persino nella BAT (migliori tecnologie disponibili) è prevista per l’Ilva “l’adozione di misure per ridurre l’altezza di caduta del materiale e migliorare i sistemi di umidificazione nelle tramogge degli scaricatori di 2° e 4° sporgente”; oltre che “migliorare i sistemi di protezione dall’azione del vento delle parti in quota delle linee di trasporto esterne via nastro delle materie prime dal 2° e 4° sporgente”.

Anche nell’ultima AIA concessa all’azienda dal ministero dell’Ambiente lo scorso 26 ottobre, è previsto “l’adeguamento dei sistemi di movimentazione via mare con utilizzo di sistemi di scarico automatico o scaricatori continui coperti”. Sul rispetto di tale prescrizione l’Ilva ha recentemente comunicato al ministero di aver “emesso l’ordine per l’installazione a bordi di ciascuno scaricatore preposto allo sbarco delle materie prime di un sistema automatico ciclo benna”. Eppure, nelle stesse BAT europee riguardanti lo scarico dei minerali dalle stive delle navi, si sostiene come sia “di gran lunga da preferire l’adozione in alternativa all’attuale sistema di scaricatori dotati di benne quello di scaricatori continui chiusi in cui il materiale viene estratto dalle stive della nave a mezzo di un elevatore flessibile che convoglia il materiale direttamente sul nastro trasportatore”.

Dunque la “nuova” AIA prevede comunque un qualcosa di non adeguato. Anche perché da anni esiste un altro sistema, il “suction unloading” (scarico per aspirazione), che consiste nell’aspirazione pneumatica con coclee o tubi aspiranti direttamente dalle stive e successivo trasferimento a camion o nastro trasportatore. Ma questo, lo immaginiamo, è chiedere “davvero” troppo. “E’ una cosa nobile ed eroica, il vento! Chi mai l’ha sconfitto? In ogni battaglia gli spetta l’ultimo colpo, il più terribile. Se gli corri incontro con la lancia in resta gli passi attraverso. Ah! vento vigliacco che colpisce gli uomini nudi, ma non si ferma a ricevere un solo colpo. Se solo avesse un corpo; ma tutte le cose che più esasperano e offendono l’uomo mortale sono incorporee, ma incorporeee solo come oggetti, non come agenti”. (Herman Melville, New York 1 agosto 1819 – New York 28 settembre 1891, “Moby Dick”).

Gianmario Leone (TarantoOggi, 06.02.13)

 

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