Ilva, la strada è senza uscita

TARANTO – Quest’oggi il presidente del Cda dell’Ilva, Bruno Ferrante, incontrerà a Roma i sindacati per fare il punto della situazione. Ma difficilmente il buon Ferrante metterà sul tavolo qualcosa di concreto. Anche perché i sindacati, dopo anni di connivenze, omissioni e negligenze, oggi non possono di certo alzare più di tanto la cresta nei confronti dell’azienda. Sempre oggi, potrebbe arrivare il pronunciamento del gip Patrizia Todisco sull’istanza di dissequestro presentata dai legali Ilva lo scorso 8 gennaio: ma è pressoché scontato l’esito. Il milione e 700mila tonnellate di coils e lamiere sequestrato lo scorso 26 novembre, resteranno sotto i sigilli della Guardia di Finanza.

L’impressione, dunque, è che il governo sia finito in un vicolo cieco, all’interno del quale è stato condotto per mano dalla regia “sapiente” del gruppo Riva. Che nonostante fosse in atto un sequestro, grazie al complice silenzio di sindacati e istituzioni locali, ha continuato a produrre in assoluta libertà per mesi. Nel mentre infrangeva consapevolmente la legge ancora una volta inoltre, l’azienda si è fatta riscrivere una “nuova” autorizzazione integrata ambientale (dopo che non era stata in grado di rispettare quella concessa nell’agosto 2011 e scritta appositamente per permettere all’Ilva di continuare ad inquinare liberamente). Ma dopo il sequestro del 26 novembre, ha preteso la realizzazione di un decreto ad hoc (il n.207 del 3 dicembre 2012), poi convertito nella legge 231 del 24 dicembre scorso. Il tutto per rientrare in possesso dell’area a caldo (pur non avendolo mai perduto nella realtà), continuare a produrre senza fermare gli impianti inquinanti e per ottenere il permesso di movimentare e commercializzare anche quei prodotti realizzati durante il sequestro dell’area a caldo senza averne la facoltà d’uso.

Il tutto nonostante fosse in atto un’inchiesta giudiziaria, sconfinando a piè pari non solo nel conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato ma anche e soprattutto nella manifesta incostituzionalità. La verità è che proprio in funzione di quest’azione di forza, governo, istituzioni locali, sindacati e azienda, confidavano in un “ravvedimento” della Procura, o quanto meno in un’apertura, in un passo indietro. Come se la magistratura agisse tramite compromessi e non attraverso il rispetto della Costituzione e del codice di procedura penale. Perché il fulcro del problema è proprio questo: i magistrati tarantini altro non hanno fatto, sin dall’apertura dell’inchiesta nel lontano 2009, che seguire passo dopo passo quanto previsti dalla legge: ed il ricorso alla Consulta altro non è che il passaggio finale del percorso intrapreso. Del resto, il nuovo provvedimento “esplicativo” preannunciato dal governo nel Consiglio dei Ministri straordinario convocato d’urgenza venerdì scorso, è l’ultima forzatura/minaccia nei confronti dei pm e del gip della Procura di Taranto.

Ma il governo sa molto bene di non poter fare più nulla, democraticamente parlando. Non si può in alcun modo bypassare la Consulta. Come non si può chiedere ai giudici della Corte Costituzionale, come maldestramente hanno proposto sia il sindaco Stefàno che il governatore Vendola, di anticipare i tempi. Anche perché, evidentemente, costoro non conoscono nemmeno la procedura. Visto che la Consulta ha 30 giorni di tempo per decidere l’ammissibilità del ricorso e nei 20 successivi è prevista la costituzione delle parti. Al termine della successiva fase istruttoria, i giudici potranno emettere un provvedimento cautelare di sospensiva dell’efficacia della norma contestata o dichiarare l’inammissibilità o la manifesta infondatezza in camera di consiglio. Oppure accogliere il ricorso annullando il provvedimento contro cui si è sollevato il conflitto. Dopo di che, è risaputo che la Consulta di solito non si esprime in via definitiva prima di 6-7 mesi. Dunque, che si fa?

Una volta che l’azienda continua a sostenere la tesi secondo cui senza il dissequestro del prodotto, non potrà garantire il pagamento degli stipendi, né rispettare il calendario degli interventi previsti nell’AIA e quindi il proseguo della vita del siderurgico, perché nessuno ha il coraggio di mettersi di traverso alle minacce del gruppo Riva? Perché nessuno chiede all’Ilva come sia possibile che in una situazione del genere si continui a produrre inviando il materiale a Genova e Novi Ligure impedendo ai lavoratori dell’area a freddo di Taranto di svolgere il loro lavoro? Perché nessuno chiede conto all’azienda di che fine abbia fatto il piano industriale promesso a parole da mesi? Perché si chiede alla magistratura di fare un passo indietro invece di chiedere a Fabio Riva, vicepresidente di Riva FIRE di costituirsi? Perché non si chiede all’azienda dove siano andati a finire i miliardi di profitto realizzati dal 1995 ad oggi, invece di sostenere senza vergogna una finta crisi economica? Perché nessuno si chiede chi e in che modo sta controllando le emissioni inquinanti degli impianti in funzione? Una serie infinita di perché che non avranno risposta. Perché gli interessi in ballo sono decisamente troppi.

Ma questa volta la logica del profitto potrebbe non bastare. Il materiale sequestrato è destinato a restare sotto sigilli. La Procura attenderà i vari pronunciamenti della Corte Costituzionale. E tutti gli altri si dovranno accodare in silenzio. Ma sappiamo che così non sarà. Perché ancora una volta si proverà a scatenare una guerra sociale, mandando allo sbando gli operai e minando ogni certezza sul futuro. Anni fa, quando denunciavamo nel silenzio generale di stampa, istituzioni e sindacati la situazione ambientale, scrivevamo che prima o poi la storia dell’Ilva a Taranto sarebbe finita. Lo scorso 26 luglio, dopo aver letto l’ordinanza del gip Todisco e le richiesta della Procura, abbiamo capito che il countdown era iniziato: sostenendo che nel breve volgere del tempo avremmo assistito alla dipartita del gruppo Riva.

Ci stiamo lentamente avvicinando alla fine. Bisognerà inventarsi un’altra economica, un’altra Taranto, un altro futuro. Facciamocene tutti una ragione. E come effigie finale, sarebbero perfette alcune frasi della canzone “Addio” di Guccini: “io dico addio, a tutte le vostre cazzate infinite, riflettori e paillettes delle televisioni, alle urla scomposte di politicanti professionisti, a quelle vostre glorie vuote da cogl…a chi dimentica o ignora l’umiltà…a chi si dichiara di sinistra e democratico però è amico di tutti perché non si sa mai, e poi anche chi è di destra ha i suoi pregi e gli è simpatico..a questo orizzonte di affaristi e d’imbroglioni fatto di nebbia, pieno di sembrare, ricolmo di nani, ballerine e canzoni, di lotterie, l’unica fede il cui sperare”.

Gianmario Leone (TarantoOggi, 21.01.2013)

 

Be the first to comment on "Ilva, la strada è senza uscita"

Tinggalkan komentar