TARANTO – Dovrebbe arrivare oggi il responso del gruppo Riva sul destino che attende l’Ilva di Taranto. Ieri, infatti, si è svolto un vertice a Milano tra il presidente del Cda del siderurgico Bruno Ferrante e i vertici dell’azienda. Come riportato ieri infatti, in un incontro con i sindacati svoltosi nel pomeriggio di martedì, l’Ilva aveva chiesto 48 ore di tempo per far conoscere le prossime mosse, dopo che il tribunale del Riesame aveva lasciato sotto i sigilli il milione e 700mila tonnellate di coils e lamiere prodotte dal siderurgico sino al 3 dicembre scorso, sequestrati dallo scorso 26 novembre, dando ragione alla Procura e sollevando eccezione di costituzionalità alla Consulta sulla legge 231 del 24 dicembre, la famosa “salva-Ilva”.
A questo punto, il gruppo Riva non può più continuare a giocare a nascondino. Dovrà uscire allo scoperto e dichiarare ciò che ha già deciso da tempo: il disimpegno nella gestione del siderurgico. Perché al di là delle mille parole sin qui spese dall’azienda, delle minacce e delle promesse, la verità è una soltanto: il gruppo Riva non ha la minima intenzione di investire miliardi di euro nel risanamento degli impianti. Ciò detto, ribadiamo da tempo che il prodotto sequestrato è soltanto l’ultimo, ennesimo pretesto, per continuare a prendere tempo.
Lo dimostra il fatto che l’Ilva non abbia ancora presentato un piano industriale degno di questo nome, legandolo indissolubilmente al miliardo che non riesce ad intascare per via del sequestro del prodotto. Senza piano industriale (che serve a capire le reali intenzioni del gruppo Riva) non ci sarà nemmeno il piano finanziario in merito ai singoli investimenti sugli impianti e sulle diverse aree del siderurgico. Conseguenza “logica”, l’annunciato dubbio sul pagamento, a febbraio, degli stipendi del mese di gennaio. Così come, altro segno evidente di un gruppo oramai pronto all’addio, è la tragicomica situazione finanziaria della Riva FIRE. I debiti finanziari totali della società ILVA Spa sono passati da 335 milioni di euro nel 1996 a 2,9 miliardi di euro, di cui soltanto 705 milioni con le banche, corrispondenti a circa un quarto del totale, da ripianare entro quest’anno.
Il rimanente 75% sono debiti finanziari nei confronti delle altre società del Gruppo ILVA e della controllante Riva FIRE Spa. Il patrimonio è invece passato da 620,8 milioni a 2,4 miliardi di euro; i debiti finanziari risultano quindi pari a 1,2 volte il patrimonio. I debiti finanziari sono aumentati soprattutto nell’ultimo quadriennio (da 1,8 a 2,9 miliardi) a causa della riduzione dei flussi di cassa provocata dai risultati negativi della gestione industriale (-805 milioni di euro). Eppure, a fronte degli ultimi tre bilanci miliardari (2009, 2010, 2011), le casse del gruppo Riva in Italia sono “desolatamente” vuote (poche centinaia di milioni trovati dalla Guardia di Finanza). “Strano”, invece, che negli ultimi mesi si siano registrati diversi movimenti nelle holding offshore del gruppo dove è ben custodito il tesoro di famiglia. Nessuno invece, pare interessato a sapere dove si trovi Fabio Riva, vice presidente del gruppo Riva FIRE, latitante dallo scorso 26 novembre. Tutto questo, all’interno del siderurgico, è ben noto a tutti. Lo sanno gli operai, i capi squadra, i quadri, i dirigenti, gli addetti dell’area comunicazione. Lo sanno i sindacati, le istituzioni, Confindustria e quant’altri. Lo scriviamo da tempo: la festa è finita, siamo arrivati alle comiche finali. Ne vedremo delle belle.
Gianmario Leone (TarantoOggi, 17.01.13)
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