Diossine e pcb nelle donne, l’ennesimo studio a metà

TARANTO – “Diossine, policlorobifenili (PCB), e in generale gli inquinanti organici persistenti prodotti in aree come quella di Taranto non hanno una incidenza particolare sulle donne in età riproduttiva”. È questo quanto emerso dai risultati di “WomenBioPop”, progetto di biomonitoraggio che valuta l’esposizione a inquinanti ambientali organici persistenti (come diossine e pesticidi) di donne in età riproduttiva (20-40 anni). Lo studio ha riguardato donne italiane in età fertile, considerate un sottogruppo vulnerabile della popolazione perché molte delle sostanze studiate possono provocare danni al sistema endocrino e riproduttivo. Il numero complessivo delle donne che hanno partecipato allo studio è di circa 750 (in rappresentanza di sei regioni). La ricerca ha previsto il prelievo di un campione di sangue dalle donne residenti in zone a diversa tipologia espositiva (es. zona rurale, zona urbana e zona industriale).

Nei campioni di sangue è stata determinata la concentrazione di policlorodibenzodiossine (PCDD), policlorodibenzofurani (PCDF), policlorobifenili (PCB), polibromodifenil eteri (PBDE), pesticidi organo clorurati, come DDE e HCB, perfluoroottano sulfonato (PFOS) e acido perfluoroottanoico (PFOA), ed eventuali altre sostanze chimiche persistenti presenti nella Convenzione di Stoccolma sugli inquinanti organici persistenti, i cosiddetti POP (Persistent Organic Pollutants). La finalità era quella di verificare se la contaminazione ambientale avesse aumentato l’esposizione della popolazione a contaminanti ambientali pericolosi.

Sotto osservazione, quindi, diossine, PCB e POPS (Persistent Organic Pollutants), sostanze caratterizzate da elevata persistenza ambientale e biologica e da un’ampia gamma di effetti tossici. Il progetto é stato finanziato dalla Comunità Europea (Programma “Life Plus” 2008, DG Environment), co-finanziato dal Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, e realizzato dall’Istituto Superiore di Sanità (ISS) in collaborazione con le strutture sanitarie regionali sul territorio (Aziende Sanitarie Locali (ASL) e Ospedali. Il biomonitoraggio effettuato su un campione di 85 donne (43 di Taranto e 42 di Laterza), ha mostrato “concentrazioni ematiche sovrapponibili con quelle osservate in altri studi condotti sulla popolazione generale italiana e in indagini simili effettuate in molti Paesi europei”.

Ad illustrare i risultati nell’aula magna del Padiglione Vinci (ospedale Santissima Annunziata), dopo l’introduzione del responsabile del Dipartimento di Prevenzione della Asl Michele Conversano, è stata la dott.ssa Elena De Felip, ricercatrice dell’Istituto Superiore di Sanità e responsabile scientifico dello studio. Ciò detto, siamo ancora una volta costretti ad esprimere forti perplessità a fronte di indagini e studi che, sinceramente, sembrano portati avanti più per dare l’impressione che qualcosa si stia facendo, piuttosto che avviare delle indagini di biomonitoraggio serie che possano dare risposte altrettanto certe sul reale stato di salute della popolazione di Taranto. Del resto, quando la stessa dott.ssa De Felip, al termine della presentazione dei risultati dello studio, ammette candidamente che il numero del campione di donne utilizzate è troppo basso per avere una valenza scientifica affidabile, in noi sorge spontanea la domanda: ma allora a che serve fare studi che non forniscono dati scientificamente certi?

Inoltre, si resta abbastanza sconcertati osservando che si effettua uno studio per valutare l’esposizione a inquinanti ambientali organici persistenti (come diossine, PCB e pesticidi) su donne molto giovani, quando è scientificamente dimostrato, non da oggi ma da anni, che le diossine hanno una lunghissima emivita negli organismi coinvolti, attraverso un lento e progressivo bio-accumulo: crescono di tre volte nel corso della vita e si riscontrano in concentrazioni molto più alte, dunque, in uomini e donne molto più anziane. Ecco perché effettuare questo tipo di studi su donne che vanno dai 20 ai 40 anni, è alquanto limitato. La dott.ssa De Felip, ha candidamente dichiarato che “non vi erano fondi a sufficienza per effettuare il biomonitoraggio su donne in età più avanzata”.

Dunque, si preferisce effettuare uno studio a metà, affermando che la situazione a Taranto è abbondantemente sotto controllo. Dando così un assist perfetto all’Ilva e ai suoi fedelissimi amici, che siamo certi non si lasceranno sfuggire quest’occasione per sostenere la tesi che a Taranto, in fondo, non si sta poi così male. Inoltre, durante la presentazione dello studio, la dott.ssa De Felip ha affermato che la tollerabilità per l’uomo di assunzione di diossina può anche essere di 20 pg TEQ/Kg, quando l’Unione Europea ha stabilito da anni un limite settimanale pari a 14 pg TEQ/Kg di peso corporeo. Cose strane.

Inoltre, a dimostrazione del fatto che siamo in presenza dell’ennesimo studio a metà, il fatto che la dott.ssa De Felip nelle sue slide ha dovuto ammettere come a tutt’oggi non esistano dati sul biomonitoraggio di altri gruppi di persone differenti dal campione preso in esame, così come non esistano dati riguardanti il biomonitoraggio su inquinanti ad alta tossicità come ad esempio gli IPA (nella cui famigli spicca il fortemente cancerogeno benzo(a)pirene di cui Taranto è piena grazie alla cokeria dell’Ilva). Non è un caso, infatti, se è stato più volte sottolineato ieri pomeriggio come “i risultati per la provincia di Taranto non solo non devono in alcuna maniera fare abbassare lo stato di attenzione rispetto al monitoraggio della popolazione del territorio, ma indicano anzi che i successivi studi di biomonitoraggio dovranno essere estesi a altri fattori di rischio chimico oltre che includere soggetti di ambo i sessi e tutte le fasce di età”.

Lo studio presentato ieri infatti, é in palese contraddizione con quello effettuato sugli allevatori (reso noto con lo studio Sentieri e riproposto nelle slide della dott.ssa De Felip), che ha riscontrato una differenza notevole fra popolazione più esposta (i più vicini all’Ilva avevano concentrazioni maggiori di diossine nel sangue) e popolazione meno esposta (gli allevatori in un raggio superiore ai 15 chilometri avevano una concentrazione di diossina inferiore rispetto agli allevatori delle masserie vicine all’area industriale). Così come non si capisce che senso abbia confrontare i dati di Taranto con quelli di Terni e del lago di Garda (Brescia), dove sono presenti altri siti industriali altamente inquinanti: non sarebbe il caso di iniziare a confrontare i dati della nostra provincia con quelli di altre provincie dette “zone bianche” appunto perché non interessate dalla presenza di siti industriali? Il responsabile del Dipartimento di Prevenzione della Asl Michele Conversano, un po’ piccato dopo alcune osservazioni sullo studio, ha voluto ricordare che la Asl nel 1995 denunciò, grazie ai dati riportati nel registro di mortalità, che a Taranto si moriva di più che in altre zone per alcune patologie specifiche di tumore. Strano, allora, che dopo 18 anni, si perda tempo con studi approssimativi e limitati scientificamente, che nulla possono aggiungere alla conoscenza del dramma ambientale che questo territorio vive da decenni.

G. Leone (TarantoOggi, 18.01.13)

 

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