TARANTO – L’Ilva presenterà il piano industriale soltanto dopo l’eventuale accoglimento dell’istanza di dissequestro degli impianti da parte della Procura di Taranto. Anche ieri dunque, il presidente del Cda dell’Ilva Bruno Ferrante, nel corso di un incontro con le organizzazioni sindacali Fim, Fiom e Uilm, ha confermato la posizione assunta dal gruppo Riva Fire. L’incontro è stato definito dal segretario della Fiom Cgil Donato Stefanelli “abbastanza deludente rispetto alle attese sindacali e di tutti i lavoratori. Per quel che ci riguarda il piano industriale prescinde alle vicende giudiziarie poiché differisce sia agli aspetti ambientali e sanitari, sia alle prospettive di rilancio industriale dello stabilimento di Taranto”.
Secondo Stefanelli “i problemi dell’Ilva a Taranto non nascono il 26 luglio con l’intervento della magistratura bensì in epoca ben antecedente per tutti i ritardi tecnologici accumulati nel centro siderurgico. Queste posizioni sono state rappresentate unitariamente da Fim, Fiom e Uilm, così come è stata ribadita l’indisponibilità a trattare sulla cassa integrazione in assenza di un piano strategico complessivo”. Stante le ripercussioni che si produrrebbero sull’intero gruppo industriale in Italia e sull’industria manifatturiera del paese, conclude il segretario territoriale della Fiom, “si rende sempre più urgente la convocazione del tavolo negoziale sulla siderurgia da parte del Governo Monti”. I sindacati dunque, non sapendo più cosa fare, ora si appellano al Governo.
Sempre ieri, nel tardo pomeriggio, Legambiente in una breve nota ha invitato l’Ilva “ad ammodernare gli impianti invece di cercare di dimostrare l’indimostrabile e dare certezze ai cittadini tarantini per quanto riguarda salute e occupazione. Ci dica piuttosto quando inizieranno i lavori di risanamento”. Il commento del vice presidente di Legambiente Stefano Ciafani arriva dopo le dichiarazioni di martedì sera del presidente Ferrante, che ha annunciato a breve nuovi “inediti” dati sullo “scarso” inquinamento a Taranto. Brevissima la replica dell’azienda: “ILVA legge con stupore le dichiarazioni di Legambiente e ricorda ancora una volta che finché gli impianti saranno sotto sequestro l’azienda, il suo Presidente, i suoi dirigenti non potranno fare assolutamente nulla. Riteniamo sarebbe opportuna una presa di coscienza da parte di tutti in una vicenda che va trattata con la dovuta serietà e non con slogan”. E’ proprio vero, al peggio non c’è mai fine.
Intanto però, voci di corridoio parlano di un’imminente prossima mossa da parte della Procura di Taranto. Come scrivemmo giorni addietro, in questi giorni i custodi giudiziari hanno individuato la ditta che si dovrà occupare dello spegnimento dell’AFO 5 (la Danieli di Udine), mentre l’Ilva si é affidata ad una ditta di per lo spegnimento di AFO 1. Il problema é che l’azienda non ha intenzione di pagare di tasca sua gli interventi contenuti nei provvedimenti dei custodi giudiziari. Il cda dell’azienda infatti, pare abbia bloccato gli stanziamenti di fondi necessari per fermare la produzione. La Procura però, ha bloccato dell’attività degli impianti, non la società: anche se l’Ilva continua a dirsi impossibilitata ad intervenire. Ecco perché é al vaglio dei Pm un strategia per emettere un nuovo atto ingiuntivo, anche economico, che terrebbe conto delle esigenze economiche ordinarie dell’azienda, senza ulteriori stanziamenti. Perché economicamente nessuno ha vietato al gruppo Riva di fare tutti gli investimenti previsti per il risanamento degli impianti sequestrati.
Gianmario Leone (TarantoOggi del 15-11-2012)
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