Taranto, un disastro unico in Italia – La relazione della commissione parlamentare d’inchiesta sui rifiuti

TARANTO – In un momento di grande caos come questo, bisognerebbe avere la lucidità e la pazienza di non farsi trascinare dalle emozioni, positive o negative che siano, mettendo dei punti fermi dai quali ripartire per costruire un futuro migliore. Per questo, è bene limitare in un angolino e sotto una lampadina a basso consumo energetico, le prese di posizione di chi oggi tenta di nascondere, miseramente, le proprie responsabilità: dal Governo ai suoi ministri, dalle istituzioni locali agli organi di controllo, dai sindacati a tutti coloro i quali hanno trovato il “coraggio” della parola e della denuncia, soltanto dopo e grazie all’azione della magistratura. E’ completamente inutile dar credito a ciò che dicono o promettono di fare. Immaginarsi poi di riconoscere loro dei “meriti”, è semplicemente paradossale.

Lo stesso discorso andrebbe fatto, anzi va fatto, nei confronti dei mass media. Quelli nazionali, da sempre distratti sulle vicende “locali”, sono attirate soltanto dallo scoop o dal gesto eclatante: insomma, dalle tragedie da sfruttare nei telegiornali serali o sulle prime pagine dei quotidiani a tiratura nazionale. Quelli locali, invece, dovrebbero avere il buon gusto di scendere dal piedistallo sul quale si sono auto issatisi, dedicando il loro tempo ad un lungo ed attento esame di coscienza, visto che sino a pochi giorni prima dell’intervento della magistratura nello scorso luglio, hanno intrattenuto con l’Ilva rapporti di natura commerciale, non avendo remore, etiche e morali, nel pubblicare o diffondere le campagne pubblicitarie dell’azienda, che di fronte a quanto sta avvenendo, assumono un tono ridicolo oltre che di grande povertà umana e culturale. Per non parlare del fatto che, per decenni, non si sono mai interessati seriamente del problema ambientale.

Tutto questo assume toni melodrammatici a fronte di quanto avvenuto ieri a Bari. All’indomani della divulgazione dei dati del progetto Sentieri 2003-2009 sulla mortalità e sull’incidenza delle malattie nel SIN di Taranto infatti, la situazione ambientale dell’area ionica si arricchisce di un nuovo, fondamentale documento. E’ quello prodotto dalla Commissione parlamentare d’inchiesta sugli illeciti connessi al ciclo dei rifiuti, ed approvato nei giorni scorsi all’unanimità dai componenti della stessa, in merito a quanto accaduto nella vicenda dell’Ilva di Taranto. Un testo nel quale sul banco degli imputati salgono uno dopo l’altro, in una sequenza da film, il Governo, il ministero dell’Ambiente, le istituzioni locali, gli organi di controllo e, ovviamente, l’Ilva. A presentare il documento, il presidente della commissione Gaetano Pecorella, durante l’incontro svolto ieri a Bari presso il Castello Svevo alla presenza dei ministri Clini e Balduzzi, del governatore della Regione Puglia, Nichi Vendola, dei procuratori Sebastio e Laudati, e del sindaco di Taranto, Ippazio Stefàno.

Nella relazione della Commissione, l’esecutivo è il primo imputato: e non potrebbe essere altrimenti. Definito del tutto “assente nella fase dell’allarme sanitario lanciato nell’incidente probatorio dinanzi al GIP”, viene accusato di essersi “svegliato” soltanto dopo il sequestro degli impianti, a fronte del problema “di produttività e di competitività”. Pesanti le critiche nei confronti del ministero dell’Ambiente, reo di non essersi schierato nell’incidente probatorio della primavera scorsa dinanzi al GIP per il procedimento contro l’Ilva, accusata di disastro ambientale doloso. In quell’occasione, la partecipazione del ministero dell’Ambiente quale persona offesa “avrebbe rappresentato un segnale di presenza dello Stato e dei suoi organi centrali rispetto ad una problematica ambientale di dimensioni uniche in Italia”. Un’assenza definita “sorprendente”. La presenza delle persone offese “non era obbligatoria, tuttavia l’attualità delle problematiche ambientali, la situazione di allarme ambientale e sanitario, avrebbero dovuto costituire sufficienti ragioni perché il ministero dell’Ambiente partecipasse all’udienza”.

La partecipazione all’udienza avrebbe infatti “costituito un momento di arricchimento conoscitivo attraverso l’acquisizione di importanti informazioni sulle emissioni promananti dall’Ilva”. In pratica, da un lato si accusa lo Stato di tenere solo e soltanto all’economia e per nulla all’ambiente e alla salute dei cittadini; dall’altro si dà una lezione etica oltre che culturale, evidenziando come anche il solo prendere parte ad un evento, può servire per allargare conoscenze che di fatto dovrebbero già appartenere all’organo preposto alla tutela dell’ambiente pubblico. Ma altrettanto gravi, se non più dure, sono le critiche rivolte all’operato degli enti locali. “Pare incredibile che nel corso degli anni non sia stata messa in atto una strategia di controlli, di prescrizioni, di verifiche che potesse garantire il perseguimento degli obiettivi produttivi dell’impresa senza alcun pregiudizio per la salute umana”. Che “cosa sia stato fatto dagli organi di controllo e dagli enti territoriali nel corso di decenni non è dato sapere”. In pratica, tutto quello che su queste colonne abbiamo denunciato per anni nel deserto istituzionale e mediatico più totale. Nella relazione, infatti, si evidenzia come, ancora una volta, solo “l’intervento della magistratura ha determinato un effettivo impulso all’attività della pubblica amministrazione, il che è certamente inaccettabile, perché la pubblica amministrazione dovrebbe orientare la propria attività nel rispetto delle regole a prescindere dall’avvio di una attività giudiziaria, che peraltro è il segno evidente della tardività dell’azione amministrativa”. A queste parole, non si sa chi tra Clini, Vendola e Stefàno, abbia avvertito brividi gelidi lungo la schiena.

Ma la relazione della commissione parlamentare, non si limita a semplici, seppur dure e circostanziate accuse. Il testo presentato ieri infatti, va anche oltre. Sostenendo ad esempio come il buon senso, dovrebbe indurre tutti a capire come “non si possa produrre se questo determina la presenza dei tumori o la crescita del rischio morte”, perché “la salute non è in vendita”. Per questo, “qualunque intervento necessario andrà fatto, qualunque costo abbia”. La relazione, anche a fronte degli ultimi dati sulla situazione sanitaria del SIN di Taranto, denuncia come ci si trovi di fronte “ad un’area altamente inquinata, rispetto alle quali risultano del tutto carenti le attività di bonifica o di messa in sicurezza a tutela dell’ambiente e della salute umana. La salute è un diritto costituzionale incomprimibile. E l’iniziativa economica non può essere esercitata recando danno alla sicurezza, alla libertà e alla dignità umana”. Aggiungere altro ci sembra superfluo. Ma nel mirino della commissione, come è ovvio che fosse, c’è anche e soprattutto l’Ilva. L’azienda del Gruppo Riva è colei che “prima di tutti deve mettere mano ai risarcimenti, perché la causa di tutto è l’Ilva”. Ma naturalmente, “non avendo controllato i pubblici amministratori e non essendo intervenuto lo Stato con leggi ad hoc, c’è una responsabilità che va al di là dell’azienda e ricade su tutti coloro che avrebbero potuto evitare un evento che non è stato evitato”. Perché per molto, troppo tempo, “nessuno si è preoccupato della salute dei cittadini di Taranto”.

All’incontro di ieri, come detto, ha partecipato anche il procuratore capo di Taranto Franco Sebastio, titolare dell’inchiesta per disastro ambientale, che ha rilasciato poche, ma chiare dichiarazioni. “Andiamo avanti come Procura – ha spiegato Sebastio – perché, semplicemente, c’è il principio della obbligatorietà dell’azione penale”. Dunque, inutile che si continui da più parti ad accusare la Procura di aver sconfinato i suoi ambiti di competenza. In chiusura, una considerazione estrapolata dal documento della Commissione, che dovrebbe portare ad una lunga riflessione anche e soprattutto i sindacati locali. “E’ come se si fosse fatto un salto indietro di più di cento anni quando, in corrispondenza dell’inizio dell’era industriale, non esistevano le norme a tutela dell’ambiente e dei lavoratori e la produzione era l’unico obiettivo da perseguire”. L’Ilva ha operato per 17 anni nella più completa impunità. Senza controllo alcuno da parte di chi avrebbe dovuto controllare. Violando qualunque legge o norma a tutela di lavoratori e cittadini. Perseguendo unicamente la logica del profitto, che ha fatto la fortuna del Gruppo Riva, ma anche di personaggi delle istituzioni, dei sindacati, degli organi di controllo, dell’imprenditoria locale. E di tanti altri ancora. Un sistema del tutto incompatibile con l’ambiente circostante, che ha compromesso la salute di migliaia di persone. Alternative alla chiusura, non ce ne sono. Alternative economiche, quante ne vogliamo. A partire dalle risorse del nostro territorio. La giustizia, così come la Storia, farà il suo percorso. Oggi, nessuno degli attori in campo o del passato, può ancora dirsi esente da responsabilità.

Gianmario Leone (TarantoOggi del 24 ottobre 2012)

 

 

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