TARANTO – Al termine del vertice di sabato scorso in Procura, il procuratore capo Sebastio era stato chiaro: “da oggi parte la fase di attuazione del sequestro degli impianti”. Non deve dunque sorprendere lo stop ai rifornimenti di materie prime nell’area parchi imposto dai custodi giudiziari dei sei reparti del siderurgico sotto sequestro dallo scorso 26 luglio. La decisione adottata dal pool guidato dall’ing. Valenzano, altro non è che la diretta conseguenza di quanto stabilito nella riunione di sabato. La prima disposizione dei custodi mira alla riduzione dei cumuli presenti nei parchi, in attesa di decidere quali provvedimenti attuare per abbattere l’impatto ambientale delle colline di minerale e ferro che stazionano a poche centinaia di metri dal rione Tamburi.
I custodi sono propensi ad imporre all’azienda la copertura dei 70 ettari dell’area: un intervento che per l’Ilva comporterebbe un investimento a nove zeri, che il Gruppo Riva difficilmente accetterà. Sia il barrieramento (teloni alti 21 metri da installare lungo tutto il perimento dell’area) che la bagnatura dei cumuli h 24 decisi dall’azienda per ridurre la diffusione incontrollata delle polveri, non hanno dunque convinto custodi e Procura. Che ha confermato anche ieri tramite il procuratore capo le perplessità sull’utilità della contromisura dell’azienda, basate “non sulla mia opinione ma su alcune sentenze della magistratura giudicante che negli anni scorsi, in diverse occasioni”, a fronte delle controdeduzioni dei legali del siderurgico, “ha ritenuto inutile la bagnatura dei parchi minerali per una serie di condizioni.
I tecnici dovranno chiarirci cosa fare del materiale accumulato nei parchi”. Nel frattempo, saranno bloccati i trasporti di materiali che arrivano agli sporgenti due e quattro del porto di Taranto in concessione all’Ilva, dove vengono scaricate migliaia di tonnellate di materie prime al giorno, vitali per il ciclo produttivo dell’azienda. Nel provvedimento comunicato al presidente Ilva Bruno Ferrante, i custodi hanno anche chiesto una stima delle materie prime presenti nei parchi e l’autonomia che garantiscono per la marcia degli impianti. La cui facoltà d’uso per la produzione, è bene ribadirlo, è stata vietata all’azienda sia dal GIP Todisco che dal Riesame. Che ha ribadito come si debba procedere in unica direzione: messa in sicurezza degli impianti e loro risanamento, per eliminare le emissioni diffuse e fuggitive che hanno avvelenato e avvelenano l’aria di Taranto e i polmoni dei suoi cittadini.
Tra l’altro, la stessa azienda ha sempre ribadito come gli impianti possano essere risanati pur restando accesi: dunque, se ciò è vero, i custodi permetteranno l’approvvigionamento minimo degli stessi per lasciarli in funzione, ma senza che sia permessa la produzione. Che, seppur vietata, è continuata sino ad oggi senza soluzione di continuità, se non con una potenziale riduzione, attestatasi intorno al 70%. In subbuglio i sindacati, anche se su posizioni divergenti. Mentre la Uilm continua a disegnare scenari apocalittici, la Fim Cisl prova a seguire la strada indicata dai custodi e dalla Procura. “Se si fermano gli altoforni, si ferma tutto”, ha dichiarato il segretario provinciale della Uilm Taranto, Antonio Talò, per il quale lo stabilimento si avvia verso la paralisi: “Senza rifornimenti, gli impianti rimaneranno in marcia 15-20 giorni, anche un mese: non di più”. La Fim Cisl invece, attraverso il segretario Mimmo Panarelli, ha dichiarato come un reale cambiamento della situazione “potrà avvenire solo con un sistema di copertura dei cumuli delle materie prime”. Intanto ieri le commissioni Ambiente e Industria della Camera hanno approvato il decreto per la bonifica di Taranto, senza apportare modifiche al testo. Il provvedimento sarà esaminato lunedì dall’Aula. Con il premier Monti che ieri ha dichiarato “non ci siamo dimenticati di Taranto”.
Gianmario Leone (Il Manifesto)
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