Ilva, il decreto lunedì in aula

TARANTO – Le commissioni Ambiente e Industria della Camera hanno approvato nella tarda serata di ieri il decreto per la bonifica di Taranto dall’inquinamento dell’Ilva, senza apportare modifiche al testo. Il provvedimento sarà esaminato lunedì dall’Aula. La Lega Nord si è divertita a fare un po’ di ostruzionismo con molti interventi su ciascuno degli emendamenti: ma essendo quest’ultimi decisamente pochi (28 in tutto), le Commissioni hanno presto concluso l’esame.

Il decreto in questione, lo ricordiamo, è quello ratificato il 26 luglio scorso a Roma tra Governo, enti locali e parti sociali, che ha avuto il via libera dal Consiglio dei Ministri lo scorso 3 agosto, sbloccando i 336 milioni di euro “necessari” per il sito d’interesse nazionale di Taranto, che il 30 novembre del 1990 venne dichiarata area ad “elevato rischio di crisi ambientale”. Nelle intenzioni del governo, così come di Regione, Provincia e Comune di Taranto, questo decreto servirà a rendere disponibili le risorse e semplificare le procedure di accesso ad esse, affinché gli interventi previsti siano attuati in tempi certi.

Sempre il 3 agosto, il CIPE sbloccò con una delibera 21 miliardi di euro destinati al Sud: tra gli interventi di manutenzione straordinaria del territorio, sono presenti misure per il risanamento ambientale e la riqualificazione di Taranto, in particolare per quanto riguarda il quartiere Tamburi, il più esposto alle emissioni del siderurgico. Stando a quanto riportato nelle tabelle del protocollo d’intesa per Taranto, i fondi sbloccati dal CIPE dovrebbero servire al completamento della copertura finanziaria dell’accordo del 5/11/2009 per la realizzazione degli interventi di dragaggio dei sedimenti nel molo polisettoriale di Taranto, alla rimozione dei sedimenti contaminati da PCB nel I seno del Mar Piccolo nelle aree di mitilicoltura e alla messa in sicurezza delle Aree PIP del Comune di Statte. Ma ancora oggi non è chiaro in che modo si sceglierà di operare, con quali tecniche e modalità.

Ciò detto, è bene ricordare ancora una volta come il protocollo d’intesa in questione, preveda nella maggior parte dei casi lo sblocco di fondi per progetti già approvati da tempo e destinati all’area di Taranto. In pratica, come denunciammo in solitaria lo scorso 27 luglio, un autentico bluff. Lo stanziamento complessivo previsto dal protocollo di 336.668.320 euro, di cui 329.468.000 di parte pubblica e 7.200.000 di parte privata (non l’Ilva ma la TCT, che gestisce il traffico dei container nello scalo ionico), è così suddiviso: 119 per ‘interventi di bonifica’, 187 per ‘interventi portuali’ e 30 per ‘interventi per il rilancio e la riqualificazione industriale’. Ma tutto questa divisione altro non è altro che una rendicontazione sia di progetti da anni in itinere per lo sviluppo di Taranto sia di cifre prive di copertura economica a carico dello Stato. Dal Mar Piccolo ai Tamburi, dai dragaggi al potenziamento delle banchine del molo polisettoriale, vengono elencati una serie di interventi già annunciati o stanziati anni addietro.

Inutile, peraltro, tornare a ribadire come questi fondi rappresentino delle briciole in confronto alle risorse che andrebbero destinare ad un territorio come quello di Taranto, per il quale sulla Gazzetta Ufficiale n.380 del 30 novembre 1998, fu pubblicato il “Piano di disinquinamento per il risanamento del territorio della provincia di Brindisi e Taranto”. Addirittura l’Enea, nel 1994, predispose uno studio per l’area a rischio di Taranto con il quale fu poi redatto il Piano di Risanamento approvato con Dpr 196 del 23 aprile 1998, con l’istituzione di Comitati Tecnici di Coordinamento per l’attuazione del Piano. Il decreto “Bassanini” del 1998 delegò alle Regioni il compito di individuare le aree alterate che comportavano rischi per la popolazione. Con Ordinanza n.3077 del 2000 del ministero dell’Interno, la gestione dell’area ad elevato rischio ambientale fu affidata al Commissario Delegato per l’Emergenza Ambientale in Puglia con la funzione di sovrintendere e coordinare gli interventi e le attività contenute nei Piani di Risanamento. Eppure, nonostante ciò, a tutt’oggi non è stato elaborato il piano di bonifica e di messa in sicurezza per il sito di Taranto. Così come non sono bastati i vari studi epidemiologici prodotti negli anni dall’Osservatorio Regionale della Puglia, dall’Enea, dall’Istituto Superiore di Sanità e dall’Organizzazione Mondiale della Sanità.

Nonostante tutto ciò, abbiamo assistito a decenni di silenzi, se non fosse stato per le azioni passate e recenti della magistratura, o qualche denuncia solitaria di associazioni civiche e ambientaliste, ci saremmo dovuti accontentare delle favole del Gruppo Riva e delle ridicole leggi che la Regione ha prodotto dal 2008 ad oggi. Certo, a sentire le voci provenienti da Roma, c’è poco da stare allegri. Perché appare paradossale che il Consiglio dei Ministri, attraverso una nota ufficiale si impegna ad assicurare la “continuità produttiva dell’azienda”. Così come si impegna a fare luce al più presto “su eventuali colpe e inadempienze che, in passato, hanno comportato danni all’ambiente e alla salute del territorio tarantino”.

Qualcuno li avvisi: qui a Taranto c’è una magistratura che indaga, degli impianti sotto sequestro, dei custodi giudiziari che decideranno quali interventi l’azienda dovrà fare, sempre se vorrà davvero farli. Così come ci sono delle indagini epidemiologiche che parlano dei danni del presente, redatte dai migliori epidemiologi italiani. A Roma si rassegnino: a decidere sarà Taranto, nessun altro. Pensassero piuttosto a trovare il modo per risarcire Taranto di oltre 30 anni di inquinamento gratuito. Visto che anche ieri, il premier Monti ha dichiarato che “certamente non ci siamo dimenticati di Taranto”: bene, è arrivato il momento di dimostrarlo. Ma non pensando di salvare ancora una volta l’amico Riva.

Gianmario Leone (TarantoOggi del 7 settembre 2012)

 

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