Polveri sottili, sforato il limite annuale

TARANTO – Lo scorso 25 agosto avevamo lanciato l’ennesimo, inascoltato allarme. Sono bastati appena quattro giorni perché il previsto si trasformasse in scontato. Stiamo parlando degli sforamenti dei valori di PM 10 sopra il limite di legge (50 µg/m3) nel quartiere Tamburi. La centralina situata in via Machiavelli infatti, dal 1 gennaio allo scorso 23 agosto, aveva registrato per ben 33 giorni valori oltre la media, quando il limite massimo di sforamenti annuali consentiti dalla legge è di 35. Ad una settimana di distanza, il limite di legge non solo è stato raggiunto, ma anche superato: il sito di ARPA Puglia aggiornato a martedì 28 agosto, registra 36 superamenti per la centralina di via Machiavelli. Pessimi anche i dati della centralina di via Archimede, sempre nel rione Tamburi: qui i giorni in cui si è registrato un valore superiore di PM 10 sino alla scorsa settimana erano 24: sono diventati 25, quando alla fine dell’anno mancano ancora quattro mesi.

Il problema in questione ha trovato spazio anche in una relazione tecnica sulla polverosità diffusa al quartiere Tamburi, firmata dall’ARPA Puglia, in merito a quanto avvenuto lunedì 27 agosto. Quando si è registrata a Taranto una situazione di criticità ambientale che ha visto la diffusione di polveri nelle zone urbane limitrofe all’area industriale, che ha comportato, anche, “il superamento del valore limite giornaliero di PM10 nelle centraline di monitoraggio della qualità dell’aria di via Archimede e di via Machiavelli nel quartiere Tamburi”. L’ARPA e gli abitanti del quartiere Tamburi conoscono perfettamente il fenomeno dovuto al trasporto delle polveri stoccate nei parchi minerali ILVA, trasportate verso la città da parte del vento che lunedì ha spirato per diverse ore in direzione Nord-Ovest ed a velocità piuttosto sostenuta (fino a 6 m/s).

I valori di concentrazione registrati nelle due stazioni di monitoraggio dell’agenzia regionale per la protezione ambientale, hanno registrato un progressivo incremento “in entrambi i siti in concomitanza con l’istaurarsi di condizioni meteo caratterizzate da venti sostenuti (circa 6 m/s) provenienti dal settore Nord-Ovest (300-320°N)”. Mettendo in relazione i dati di concentrazione di polveri PM10 e la direzionalità dei venti registrati, si possono ottenere le così dette “rose d’inquinamento” del giorno 27 agosto relative al sito preso in esame. Grazie a questi grafici specifici, l’ARPA nella relazione tecnica riporta che “ad esclusione di una piccola percentuale proveniente da ovest, praticamente tutta la polverosità misurata nella giornata del 27/08/2012 è attribuibile ai settori ONO – NO e NNO, ovvero dalla zona industriale. Risulta evidente che l’area maggiormente interessata dal trasporto operato dal vento è quella dei parchi minerali di ILVA SPA ubicata a nord-ovest rispetto al quartiere Tamburi”.

Ricordiamo inoltre che lo scorso anno, le due centraline di monitoraggio che sono le più vicine all’area industriale, registrarono 40 sforamenti giornalieri in via Archimede e 45 in via Machiavelli. Sempre per quanto riguarda il PM 10, la centralina di via Machiavelli possiede attualmente anche il triste record di sforamenti giornalieri maggiori rispetto a tutto il resto della Puglia. Il che la dice lunga su quale sia ancora oggi la realtà dei fatti in merito all’inquinamento ambientale prodotto dall’Ilva e dalla sua produzione. Un monito per quanti ancora oggi sono convinti che la situazione ambientale di Taranto sia migliorata, e che le criticità siano da addebitare ad un passato oramai “lontano”.

Guardando questi dati, inoltre, non si può non tornare a sottolineare ancora una volta quanto i periti epidemiologi (Annibale Biggeri, docente ordinario all’università di Firenze e direttore del centro per lo studio e la prevenzione oncologica, Maria Triassi, direttore di struttura complessa dell’area funzionale di igiene e sicurezza degli ambienti di lavoro ed epidemiologia applicata dell’azienda ospedaliera universitaria Federico II di Napoli, e Francesco Forastiere, direttore del dipartimento di Epidemiologia dell’Asl di Roma) incaricati dal GIP Patrizia Todisco nell’ambito dell’incidente probatorio sull’llva chiesto dal procuratore capo Franco Sebastio, dall’aggiunto Pietro Argentino e dal sostituto Mariano Buccoliero, scrissero nella loro relazione peritale: “Nei 7 anni considerati, (2004-2010) per Taranto nel suo complesso, si stimano 83 decessi attribuibili ai superamenti del limite Oms di 20 microgrammi al metro cubo per la concentrazione annuale media di Pm10. Nei sette anni considerati per i quartieri Borgo e Tamburi si stimano 91 decessi attribuibili ai superamenti Oms di 20 microgrammi al metro cubo per la concentrazione annuale media di PM10”.

E ancora: “si stimano 193 ricoveri per malattie cardiache attribuibili ai superamenti del limite Oms di 20 microgrammi al metro cubo per la media annuale delle concentrazioni di Pm10 e 455 ricoveri per malattie respiratorie”. Attenzione però: perché i periti hanno preso come riferimento il limite di 20 microgrammi al metro cubo indicato dall’Organizzazione mondiale della Sanità, mentre quello stabilito dalla legislazione italiana è di 50. I valori limite sono definiti dalla direttiva 99/30/CE, recepita in Italia dal Decreto Ministeriale 2 aprile 2002, n. 60; tale decreto fissa due limiti accettabili di PM10 in atmosfera, giornaliero e annuale.

Entro il 1 gennaio 2005 dovevano essere i seguenti: valore limite di 50 µg/m³ come valore medio misurato nell’arco di 24 ore, da non superare più di 35 volte/anno; valore limite di 40 µg/m³ come media annuale. Entro il 1 gennaio 2010 invece, dovevano essere i seguenti: valore limite di 50 µg/m³ come valore medio misurato nell’arco di 24 ore, da non superare più di 7 volte/anno; valore limite di 20 µg/m³ come media annuale. Ma grazie al Decreto legislativo del 13 agosto 2010 n.155 (lo stesso decreto grazie al quale fu rinviato il limite di tempo entro il quale rispettare il valore di 1 ng/m3 di benzo(a)pirene), sono stati mantenuti gli stessi valori di 50 e 40 µg/m³.

I dati di questi giorni dimostrano ancora una volta come i problemi di cui soffre il siderurgico siano non solo atavici, ma anche di difficile soluzione. Prendiamo il caso del PM 10, ad esempio: la Regione Puglia, con l’ausilio di Provincia, Comune e Governo, sostiene che nei giorni di forte vento, l’Ilva possa diminuire la produzione dell’area a caldo del 10% e il livello dei cumuli di minerali del 19%. Così come si sostiene che si possa quanto meno attenuare il problema dell’invasione delle polveri proveniente dal parco minerali, con il semplice barrieramento. Nell’uno e nell’altro caso, il problema riguardante le polveri sottili resterebbe comunque irrisolto.

Sono proprio queste ultime (PM 10-PM 2,5) le più cancerogene per la salute umana, in quanto più facilmente si incuneano nelle vie respiratorie veicolando sostanze altamente inquinanti. Eventi che rappresentano un rischio sanitario per la popolazione esposta. Qualora non bastasse la perizia redatta dagli epidemiologi, diversi studi (SIDRIA, APHEA, MISA 1 e 2, SISTI) negli ultimi anni hanno accertato la correlazione tra aumento dei livelli di PM10 e diverse patologie nel breve periodo con effetti sia in termini di ricoveri che di decessi. In ogni caso, vogliamo ricordare una volta di più che il PM10 non dipende soltanto dal parco minerali, ma anche dall’area a caldo.

Domanda: come si fa a concedere una nuova AIA ad un’azienda che ancora oggi produce tali danni all’ambiente ed alla salute delle persone? Come si può ancora pensare che l’Ilva possa un domani diventare un’azienda eco-compatibile? Chiosa finale: come riportato già ieri, ricordiamo che a Genova nel 2002 vennero chiuse le cokerie per il loro impatto sulla salute, in particolare nel quartiere di Cornigliano, nelle cui vicinanze sorgeva lo stabilimento siderurgico. Uno studio epidemiologico evidenziò una relazione tra polveri respirabili (diametro inferiore od uguale a 10 micron o PM10) emesse dagli impianti siderurgici ed effetti sulla salute. Lo studio epidemiologico attestò che nel quartiere di Cornigliano nel periodo 1988-2001, la mortalità complessiva negli uomini e nelle donne risultò costantemente superiore al resto di Genova. Nel luglio 2005 fu spento anche l’altoforno numero 2 dello stabilimento di Cornigliano. Taranto e i suoi cittadini, è bene ricordarlo, non sono esseri viventi di Serie B. Così come i nostri morti. L’unico futuro possibile è una Taranto senza Ilva. Senza se e senza ma.

Gianmario Leone (dal TarantoOggi del 30 agosto 2012)

 

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