Taranto e Ilva, riecco gli atti d’intesa

TARANTO – Il colpo di Stato “silenzioso” che avevamo annunciato ad inizio settimana si è materializzato ieri mattina a Roma nella Sala Verde al 3° piano di palazzo Chigi, dove si è svolto l’incontro al cui tavolo istituzionale hanno partecipato il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Antonio Catricalà, il ministro dell’ambiente Corrado Clini, il sottosegretario del ministero sviluppo economico Claudio De Vincenti, i dirigenti del Ministero della coesione territoriale guidato da Fabrizio Barca, il presidente della Regione Puglia Nichi Vendola, il presidente della provincia di Taranto Giovanni Florido, il Sindaco di Taranto Ippazio Stefàno, i parlamentari pugliesi Raffaele Fitto, Nicola Latorre, Ludovico Vico, Antonio Nessa e Salvatore Ruggeri, e i segretari generali di Cgil, Cisl, Uil e Ugl.

L’incontro è servito per dare vita ad un qualcosa di veramente “originale”, che a Taranto non si era mai visto: ovvero il raggiungimento di un’intesa quadro o un protocollo d’intesa che individuerà nel dettaglio “le risorse finanziare, i progetti e le modalità attuative per risolvere i problemi dell’Ilva di Taranto”. Il 24 luglio il ministro dell’Ambiente incontrerà l’Ilva per illustrare i risultati dell’incontro e verificare la disponibilità dell’azienda a concorrere agli obiettivi emersi (pare che Clini abbia dichiarato un laconico “speriamo firmeranno l’accordo”). Per poi annunciare che l’accordo di programma sarà messo nero su bianco il prossimo 26 luglio. D’altronde, l’obiettivo primario per tutti, Governo in primis, è molto chiaro. Un monito che in realtà svela un segreto di pulcinella che è alla base di tutto ciò che è accaduto negli ultimi 60: “Non possiamo rischiare di far perdere all’Italia il sito industriale di Taranto”. Punto. E a capo.

Sempre ieri è stato ribadito come “il risanamento ambientale dovrà essere un’opportunità anche dal punto di vista economico”. E noi stolti che pensavamo che il risanamento ambientale di un’area come quella di Taranto dovesse unicamente andare a salvaguardare, una volte e per sempre dopo decenni di inquinamento selvaggio, la tutela dell’ambiente e la salute dei cittadini. Dunque, gli obiettivi primari individuati sono essenzialmente tre: piena utilizzazione delle risorse già disponibili mediante una rapida finalizzazione delle procedure in corso sulle bonifiche; definizione dei progetti per ampliare il campo del risanamento;  coinvolgimento dell’azienda e di altre imprese del territorio nel programma di riqualificazione dell’area. E così, in pieno 2012 e in attesa delle imminenti decisioni della magistratura in merito all’ennesima inchiesta sull’inquinamento prodotto dall’Ilva, veniamo improvvisamente catapultati indietro nel tempo.

Agli anni 2003, 2004, 2005 e 2006, in cui vennero stipulati i tristemente famosi “Atti d’intesa” concernenti gli “Interventi per il miglioramento dell’impatto ambientale dello stabilimento Ilva di Taranto”, firmati da quegli stessi soggetti politici e sindacali, oltre ovviamente dall’azienda, che oggi rivendicano un successo inesistente. Dimentichi che all’epoca, quegli atti furono il “regalo” di Riva in cambio del ritiro della costituzione di parte civile di Regione, Provincia e Comune dal processo che poi vide lo stesso Emilio il 29 settembre 2005 definitivamente condannato in Cassazione “per emissioni fuori legge di polveri e gas riversati su alcuni quartieri di Taranto”, e successivamente in data 8 marzo 2006, sempre in Cassazione, definitivamente condannato ad un anno e sei mesi di reclusione “per frode processuale e per tentata violenza privata nei confronti di numerosi dipendenti di Taranto chiusi in un reparto-lager”, la famosa palazzina LAF, primo caso di mobbing in Italia sul quale, caso strano, i sindacati mostrano di non avere più memoria. Poi, per la legge 241/2006 (“indulto”), le pene inflitte vennero interamente condonate. E’ come se i corsi e i ricorsi storici in questa città siano destinati a ripetersi ciclicamente.

Dopo anni in cui nessuno ha controllato che quegli atti d’intesa venissero realmente applicati e soltanto dopo che nel 2008 la Procura di Taranto avviò le indagini per l’ennesima inchiesta, la Regione iniziò a muovere i primi passi, producendo quella “meravigliosa” legge n.44 del 2008, chiamata “anti-diossina”, che monitora le emissioni del camino E312 “addirittura” quattro volte l’anno. Poi, dopo che nel 2010 la Procura ha reso noti i reati contestati (disastro doloso, avvelenamento di terreni e sostanze alimentari, danneggiamento aggravato, violazioni alla normativa in materia di inquinamento atmosferico, eccetera), è partito un lungo percorso istituzionale fatto di decine e decine di tavoli tecnici, che hanno partorito altre due leggi “uniche” nel loro panorama, che hanno completato la “magica trilogia”. Ovvero quella sul piano per il risanamento dell’aria per il rione Tamburi che andrà applicata nei giorni di forte vento di maestrale senza che però nessuno abbia realmente capito chi dovrebbe fare cosa, e quella approvata in tutta fretta martedì scorso dal consiglio regionale, che introduce la mitica Valutazione del Danno Sanitario, un mostro burocratico che vedrà la luce chissà quando e per opera di chi.

Per non parlare del fatto che qualcuno dei signori su citati, dovrebbe anche spiegare dove sono andati a finire i fondi stanziati negli ultimi 10 anni per le bonifiche: 56 milioni per il quartiere Tamburi, poi misteriosamente dirottati nella provincia di Brindisi; 36 milioni per il Mar Piccolo, di cui 26 dal ministero dell’Ambiente, 10 tra Regione e Provincia di Taranto. Ed ora si vogliono stanziare 300 milioni di euro per bonificare. E il motivo per cui i soldi messi sul tavolo sono così pochi, è semplicissimo: perché si andranno a bonificare piccolissime parti del nostro territorio, con la certezza assoluta, ribadita anche dagli scienziati dei sindacati, che il tutto può e deve avvenire con “la fabbrica aperta”. Vorremmo inoltre sapere, ad esempio, come mai si è rimasti del tutto immobili in campo sanitario, pur sapendo che il territorio ionico fu inserito tra i Siti d’Interesse Nazionale sin dal lontano 1988: 24 anni in cui avremmo avuto tutto il tempo (vero cara ASL e caro Ordine dei Medici?) per dare vita ad un registro tumori serio e completo; per compiere monitoraggi sul sangue e sulle urine dei cittadini; per dare vita e completare mappe epidemiologiche utili per capire come e dove e con quale incidenza gli inquinanti emessi dalla grande industria hanno colpito i cittadini di Taranto.

Nulla di tutto questo è stato fatto. Abbiamo iniziato con grande ritardo soltanto negli ultimi due anni e con una lentezza alquanto sospetta. Il tutto, nonostante negli anni siano strati prodotti diversi studi che dimostrano incontrovertibilmente l’inquinamento prodotto anche e soprattutto dall’Ilva. Perché dire che il problema è soprattutto dello Stato, è una grande bugia. Visto che per anni e anni nessuno ha controllato l’Ilva, che ha tra l’altro contribuito in maniera decisiva, giusto per non farsi mancare nulla, ad inquinare anche la falda, come dimostrato dalla Conferenza Servizi aperta da anni sul problema. Sempre i signori di sopra, dimenticano che l’Ilva ha ottenuto un’AIA nello scorso agosto grazie proprio al loro aiuto: mentre oggi, non solo la rinnegano, ma chiedono a gran voce la riapertura del procedimento per inserire prescrizioni più severe. Perché ciò non è stato fatto prima durante gli anni di lavoro della commissione IPPC resterà un mistero. In mezzo, una selva infinita di ricorsi al TAR da parte dell’Ilva, tanto per gradire e mostrare un po’ di muscoli per ribadire chi, alla fine della fiera, comanda realmente. Come vedete, non è cambiato nulla. Si continua a giocare con la vita e la salute degli operai e dei cittadini, recitando un copione oramai del tutto inappropriato e ridicolo da anni e anni.

Solo che oggi c’è un’indagine che fa tremare i polsi a tutti coloro i quali sanno di essere responsabili, in egual misura dell’Ilva, per quanto accaduto in tutti questi anni. Ci sono delle perizie che non ammettono repliche o discussioni. Ci sono evidenze scientifiche che parlano chiaro. Certo, siamo ancora all’inizio, ma quanto meno ci sono dei punti fermi. Che potrebbero bastare da soli per fermare le attività del siderurgico e convincere i nostri attori che è arrivato il momento di iniziare a fare le cose sul serio. E’ solo la paura per l’azione della magistratura ad aver mosso il tutto. Una paura vigliacca e pavida che si tenta di scacciare in tutti i modi: provando a fare in pochi mesi quello che si sarebbe dovuto e potuto fare in anni e anni di lavoro politico serio basato su dati scientifici reali e non, come invece avviene ancora oggi, parlando a vanvera di cose che non si conoscono e indicando soltanto negli altri, ovvero nell’industria di Stato, i colpevoli di un dramma che vede come uniche vittime i tarantini ed una meravigliosa, ancora oggi per fortuna, città dei Due Mari. Che presto potrebbe iniziare ad avere finalmente un po’ giustizia.

Gianmario Leone (dal TarantoOggi del 20 luglio 2012)

 

1 Comment on "Taranto e Ilva, riecco gli atti d’intesa"

  1. Vanni Ninni | 20 Luglio 2012 pada 20:14 |

    Arrivera’ il giorno di una nuova Norimberga…e non ci saranno sconti per nessuno!
    Iniziate a tremare perche’ state commettendo un crimine e non potrete neanche dire come cercarono di fare nella citta tedesca “che non ne sapevano nulla”..VOI lo sapete , eccome se lo sapete!!!…iniziate a defilarvi, come hanno fatto FABIO RIVA E CAPOGROSSO se avete un briciolo di cervello…

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