Eni dà un passaggio agli italiani. Ma noi preferiamo restare a piedi

TARANTO – Ha avuto un successo “straordinario”, come del resto era tristemente prevedibile, l’iniziativa “Riparti con Eni” promossa dalla “prima azienda petrolifera del Paese”, che dallo scorso 16 giugno al prossimo 2 settembre, soltanto durante il week end, ridurrà il prezzo della benzina e del gasolio per tutti i consumatori che faranno rifornimento in modalità iperself (ovvero in maniera autonoma).

La riduzione del prezzo prevede all’incirca uno sconto di 20 centesimi al litro rispetto al prezzo praticato in modalità servito, equivalente ad un risparmio di 10 euro su un pieno da 50 litri, con la possibilità di rifornirsi a partire dalle 13 del sabato alla mezzanotte della domenica. Dalle prime proiezioni fornite dall’Eni, in questo primo weekend sono stati venduti 70-80 milioni di litri, circa tre volte il dato normale.

Ma come sempre avviene in questo paese, nessuno si prende la briga di fermarsi a riflettere anche per un solo istante in maniera critica su ciò che gli accade intorno. A maggior ragione poi, se si tratta di risparmiare 20 centesimi di euro sul pieno di benzina e gasolio in tempi di crisi economica. Eppure, nessuno si è posto una semplicissima domanda: ma come è possibile che da un giorno all’altro l’Eni decida di “dare un passaggio agli italiani”?

Non è strano che soltanto un mese fa, quando il prezzo del carburante in Italia era il più alto in Europa, di fronte alle proteste dei consumatori l’amministratore delegato dell’Eni, Paolo Scaroni, allargava sconsolato le braccia affermando che “il calo del prezzo dei carburanti naturalmente ci sarà se i prezzi del greggio e dei prodotti raffinati continueranno a scendere e se l’euro non si indebolirà rispetto al dollaro. Non possiamo essere solo volontaristici bisogna valutare le condizioni del mercato: i margini aziendali sono diminuiti in modo importante per noi e per i nostri concorrenti”?

Niente di tutto questo: gli italiani, come tanti pecoroni, hanno assediato le stazioni di servizio griffate Eni, rievocando l’assalto ai forni di manzoniana memoria. Ma se ciò può essere comprensibile in un paese in cui la coerenza e la dignità sono oramai diventati fenomeni paranormali, lo è in maniera molto, ma molto minore, se ciò avviene anche dove, da decenni, sono presenti le raffinerie Eni, con tutto il loro carico di inquinamento, questo sì del tutto “gratuito”. Come accaduto e accade ancora oggi a Taranto.

Ma i tarantini, si sa, non si fanno mai troppi problemi. Specie poi con l’arrivo dell’estate, dove tutto, ma proprio tutto, passa decisamente in secondo piano. E così, prima di andare tutti al mare, tantissimi tarantini hanno pensato bene di sostare sotto il solleone in lunghe code nelle stazioni Eni, per ringraziare di tanta generosità un’azienda che, da quando ha occupato diversi chilometri di costa della nostra città, ha sempre fatto e continua a fare il bello e il cattivo tempo. Un’azienda che non ha mai avuto alcun contatto con la comunità, con il territorio ionico, che sfrutta a proprio piacimento come una vera e propria colonia.

Sarà anche per questo se negli ultimi anni l’Eni ha avanzato la richiesta di raddoppiare la sua capacità di raffinazione passando dai 6,5 agli 11 milioni di barili all’anno (progetto per ora stoppato dal ministero dell’Ambiente). Sarà per questo, indubbiamente, se ha richiesto ed ottenuto grazie ad un solerte Consiglio Comunale l’ok per la costruzione di un nuovo metanodotto all’interno della stessa raffineria, che in un futuro non si sa quanto lontano, servirà proprio per il raddoppio su citato.

Sarà per questo se ha richiesto e quasi ottenuto la possibilità di costruire una centrale a turbogas nuova di zecca, dalla capacità di 240 MW, al posto dell’obsoleta centrale ad olio combustibile, che però è leggermente inferiore, ovvero di 87 MW. Adducendo come motivazione quella dell’autonomia e autosufficienza energetica della raffineria, onde scongiurare il blocco della stessa, con la conseguente accensione delle grandi torce che riempiono il cielo di Taranto di una sinistra ed inquinante scia di veleni.

Il tutto, senza avere alcuna vergogna nell’affermare che l’energia prodotta in più sarà venduta sul mercato e che tale centrale produrrà un aumento spaventoso di CO2. Il progetto però ha vissuto fasi altalenanti, con la Regione che si è messa di traverso ricorrendo al Tar del Lazio, quando Comune, Provincia, Confindustria e sindacati, oltre alla stessa Eni, avevano già stappato lo spumante. Dopo aver ritirato il progetto iniziale, l’Eni ha dichiarato che presenterà a breve un nuovo investimento, che pare si aggirerà intorno ai 100 milioni di euro, con la produzione di vapore che resterà invariata ma con un calo di quella elettrica: 105 MW anziché 240 MW. Ma il disappunto dell’Eni e di Enipower è palpabile.

La “minaccia” proveniente dagli ambienti dell’azienda del “cane a sei zampe” è stata infatti la seguente: una nuova centrale da 105 Mw non renderà indipendente la raffineria sotto il profilo energetico. Con le torce che torneranno ad accendersi e la raffineria che andrà in blocco “all’improvviso”. Ma i nostri cari amici dell’Eni si possono al momento consolare con il famoso progetto “Tempa Rossa”, che ha da tempo ricevuto tutte le autorizzazioni del caso, oltre che l’ok da parte del Cipe (1,3 miliardi di investimento). L’Eni ha previsto per la raffineria di Taranto un investimento di 300 milioni di euro per stoccare in due serbatoi da 180 mila metri cubi il greggio lucano proveniente dalla Val D’Agri ed ampliare il pontile in dotazione all’Eni nel porto di Taranto per consentire l’attracco di un massimo di 140 navi l’anno, nonostante l’assenza di rischio di incidente rilevante nello Studio di Impatto Ambientale e l’aumento delle emissioni diffuse del 12%.

Ma i tarantini a tutto questo non pensano e non vogliono pensarci. Come si sono dimenticati che la raffineria Eni è la stessa che, da un momento all’altro, è in grado di invadere gran parte della città con una puzza di gas nauseabondo, che crea malori e problemi di salute dai più piccoli ai più anziani. E a certificare che la responsabilità sia dell’azienda del “cane a sei zampe”, è stata proprio l’Arpa, che lo scorso settembre, in occasione dell’ennesima insopportabile fuga di gas, testé dichiarò: “Gli odori nauseabondi segnalati dai cittadini di Taranto lo scorso 17 gennaio 2011 sono legati alla diffusione nell’aria di acido solfidrico (H2S) proveniente dalla Raffineria Eni di Taranto. Nella stessa giornata si è registrato un picco di SO2 (Anidride solforosa, ndr) che ha superato, presso l’Ospedale Testa, il valore limite orario di 350 µg/m3, fissato dal D.Lgs. 155/2010, proveniente verosimilmente dalle torce della Raffineria Eni di Taranto”.

Dunque non uno, ma ben due agenti inquinanti. Entrambi dannosi per l’ambiente e pericolosi per la salute umana. Sempre secondo quanto accertato dall’Arpa “tali eventi sono verosimilmente legati alle attività di riavvio di alcuni impianti da parte di Eni, circostanza preventivamente notificata dalla stessa Raffineria ma a cui non ha fatto seguito alcuna segnalazione di eventi anomali, da parte della stessa Eni”. Che in parole povere vuol dire che l’Eni semplicemente non tiene conto di niente e di nessuno.

Ma nonostante tutto ciò, i tarantini hanno scelto comunque di risparmiare la bellezza di 20 centesimi a litro per rifornire le loro belle automobili. Mostrando ancora una volta di non avere a cuore nemmeno la propria dignità. Perché se è vero che il nostro ecosistema è in gran parte compromesso dall’inquinamento prodotto dalla grande industria negli ultimi 60 anni, è altresì vero che ci sono tanti modi diversi per vivere e morire. Uno di questi, ad esempio, è farlo con coerenza. E dignità.

Sarebbe stato un segnale rivoluzionario lasciare vuote le stazioni di servizio Eni in questo e nei prossimi week end. Non certo per fare un danno economico ad un’azienda che nel 2011 ha messo a bilancio ricavi per oltre 4 miliardi di euro. Ma per affermare a testa alta che non basteranno tutti gli sconti del mondo per comprarsi la nostra dignità. Per dimostrare che Taranto è una città consapevole, che non ha più voglia di soffrire e morire per i veleni della grande industria, che ancora oggi è totalmente spalleggiata sul territorio da istituzioni e sindacati. Per lanciare un concreto segnale ai nostri politici che un’altra Taranto è possibile, non solo a parole, ma anche nei fatti. Che purtroppo ancora oggi danno ragione alla grande industria, che continua a trattarci come una semplice colonia da spremere sino all’ultima goccia.

Ma forse siamo noi che viviamo su un altro pianeta. Forse le nostre sono stupide questioni di principio. Forse sogniamo l’impossibile. Sarà. Ma preferiamo restare cocciutamente dall’altra parte delle barricata. Convinti del fatto che le nostre idee e i nostri principi non avranno mai alcun prezzo contrattabile. Per mandare un messaggio alla grande industria e dir loro che non ci arrenderemo mai, senza prima aver provato in tutti i modi a cambiare in meglio la nostra città. Senza la loro presenza. E senza il loro aiuto. “Dignità è una parola che non ha plurale” (Paul Claudel, Diario, 1904/55 – postumo, 1968/69).

Gianmario Leone (in esclusiva per InchiostroVerde)

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