Bonifiche, si parte da Porto Marghera. E Taranto…

TARANTO – Partirà da Porto Marghera il progetto per la bonifica e la riqualificazione delle aree industriali italiane. “Una reindustrializzazione ambientalmente sostenibile che apre nuove prospettive per lo sviluppo delle aziende verdi nel nostro Paese“: lo ha dichiarato ieri il ministro dell’Ambiente Corrado Clini, che lunedì 16 aprile firmerà a Venezia l’”Accordo di programma per la bonifica e la riqualificazione ambientale del sito di interesse nazionale di Venezia-Porto Marghera e aree limitrofe“. A sottoscriverlo saranno il sindaco Giorgio Orsoni, il presidente della Regione Veneto Luca Zaia ed il magistrato alle acque di Venezia Ciriaco D’Alessio, in rappresentanza del ministero delle Infrastrutture. Cornice dell’evento la sala degli stucchi di Ca’ Farsetti, sede del Comune di Venezia. L’accordo, grazie all’insediamento di nuove attività industriali, consentirà “finalmente il rilancio economico di Marghera mediante procedimenti di bonifica e ripristino ambientale che consentano e favoriscano lo sviluppo di attività sostenibili dal punto di vista ambientale“. Il giorno dopo invece, martedì 17 aprile, si incontreranno a Roma con il Presidente del Consiglio Mario Monti, in un tavolo specifico sulla città di Taranto e sulla problematica dell’inquinamento prodotto dall’Ilva di Taranto, il Presidente della Regione Puglia Nichi Vendola, il Presidente della Provincia di Taranto Giovanni Florido, il sindaco della città Ippazio Stefàno ed una ristretta delegazione di parlamentari pugliesi, per iniziare a porre le basi di quella che per molti dovrà essere un’opera di bonifica “ciclopica”, ma vista prima in Europa.

Sul territorio italiano sono 57 i famosi SIN (siti di interesse nazionale) da disinquinare, tra i quali dal 1988 rientrano anche Taranto ed il Comune di Statte. Sono invece 2,2 i miliardi di euro stanziati dal ministero dell’Ambiente dal 2001 ad oggi: un fiume di denaro destinato ad interventi pubblici o di interesse pubblico, che raramente ha visto gli effetti sperati. E la dimostrazione è nell’elenco (che trovate nel box accanto) dei tanti siti che attendono ancora di essere bonificati e riqualificati. Su circa 20 Sin, il ministero ha concluso la sua parte di attività, ma la stessa non è finita. Anzi, spesso non è nemmeno iniziata. Questo per via degli effetti della legge n.152 del 2006, con la quale la competenza in materia è passata alle Province (che però nel 2013 vedranno il loro ultimo anno di vita) ed alle viarie Arpa (Agenzia regionale per la protezione ambientale). E qui, per colpa degli interessi di molti e della solita burocrazia italiana, tutto si è spesso fermato. Per quanto riguarda le “Aree perimetrali” individuate nei SIN, risultano pari a circa 500mila ettari le aree a terra, ovvero poco meno del 2% del territorio nazionale; mentre sono pari a circa 90mila ettari le aree a mare.

Dunque, come detto all’inizio, si partirà da Porto Marghera: un sito dove l’inquinamento industriale ha fatto danni immani e, molto probabilmente, irreparabili. E dove si sarebbe dovuto intervenire prima, molto prima. Basti pensare che la sentenza della Cassazione nel processo contro i proprietari del sito industriale (alcuni dei quali condannati mentre altri finirono assolti) è del 2006: ma il processo è iniziato negli anni ’90, mentre le prime denunce sono partite negli anni ’70: per non parlare del fatto che i giudici hanno stabilito che i proprietari della Montedison da sempre sapevano i danni da loro procurati. Gli scarichi industriali del petrolchimico, che sono confluiti per decenni nella laguna veneta, hanno avvelenato aria, suolo, sottosuolo, acqua; oltre a compromettere l’esistenza della fauna acquatica della laguna. Per non parlare, ovviamente, dei danni causati agli operai del petrolchimico e quelli provocati alla salute dei cittadini.

Per il disastro ambientale provocato dal petrolchimico di Porto Marghera fu chiesto a Montedison ed Enichem un risarcimento di 71 mila miliardi di lire. Successivamente, a pochi giorni dalla sentenza, il Ministero dell’Ambiente e la Montedison si accordarono su un rimborso di appena 525 miliardi di lire per la bonifica di solo nove aree del petrolchimico. Viene da chiedersi quanti miliardi (di euro) ci vorranno per bonificare il Sin di Taranto, che come segnalato dallo stesso ministero dell’Ambiente, comprende oltre l’Ilva anche la raffineria dell’Eni. Anche perché, come specifica lo stesso ministero, in merito alla riqualificazione e bonifica dei Sin, “i privati sono tenuti a intervenire con propri investimenti“. Sulla qual cosa nutriamo serissimi dubbi. Ultimo dei problemi, ma primo per importanza, è che le “bonifiche” sono diventate il tema dominante delle chiacchiere da bar delle nostre istituzioni, oltre che di gran parte dei 12 candidati alla poltrona di Sindaco di Taranto in vista delle elezioni amministrative del 6 e 7 maggio prossimi. Passi il fatto che in tanti sul tema dell’ambiente e dell’inquinamento straparlano usando termini di cui non conoscono nemmeno il loro vero significato, preoccupano essenzialmente due cose: la prima, che molti immaginano sia davvero possibile bonificare un sito industriale immenso come quello di Taranto nel giro di pochi anni, senza che però nessuno, a tutt’oggi, abbia indicato né quanti soldi ci vogliano, né chi debba metterli ed in quale quantità, né soprattutto quali dovrebbero essere le eventuali tecniche da usare. Seconda cosa, ancora più grave della prima, è che si continua a parlare di bonifiche, ritenendo possibile far partire le stesse mentre le grandi industrie continueranno tranquillamente le loro attività, grazie alla loro avvenuta “ambientalizzazione” ed “eco-compatibilità”. Un qualcosa di prontamente inutile, oltre che tristemente ridicolo.

Gianmario Leone

 

 

 
 

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