Taranto avrà giustizia – Inchiesta della Procura speranza per il futuro

di Gianmario Leone

Non c’è stato niente da fare. Ad inizio settimana, avevamo provato a prenderla col sorriso ed un po’ di sarcastica ironia. In un secondo momento, abbiamo scelto di far passare qualche giorno di silenzio, lasciando spazio ai tantissimi comunicati (soprattutto degli ambientalisti su cui stendiamo l’ennesimo velo pietoso, ma sui quali presto torneremo a scrivere) che sapevamo già in anticipo avrebbero invaso la casella di posta della redazione. Ovviamente, non abbiamo potuto fare a meno di leggere i due comunicati provenienti dal magico mondo dei 200 camini dell’Ilva. Così come siamo rimasti nuovamente storditi dall’assordante silenzio in cui sono sprofondati le nostre istituzioni e i sindacati (tranne qualche rarissima eccezione). E così, ad una settimana dalla consegna della relazione della perizia dei chimici nominati dal Gip Todisco nella maxi inchiesta in corso sull’Ilva di Taranto, siamo costretti a fare i conti con un deserto istituzionale e non, che in italiano potrebbe trovare la giusta trasposizione in due termini semplici, ma molto chiari: connivenza e pavidità.

E sì, cari signori. Perché non è francamente accettabile che chi sino all’altro giorno sguazzava in un mare di retorica e di termini senza senso, oggi possa pensare di cavarsela trincerandosi dietro una cortina di silenzio, la cui nebbia si vede da molto, molto lontano. Ed è proprio in questo clima quasi surreale, che trova sponda sin troppo facilmente l’Ilva e la sua area comunicazione, avanti anni luce  oltre che ai nostri rappresentati politici, anche ad alcuni organi di stampa e mass media locali, che continuano giorno dopo giorno ad annacquare, omettere o addirittura a disinformare sulle tante finte verità ad oggi sbugiardate e su quelle su cui per decenni si è colpevolmente taciuto. E così, il giorno stesso della consegna della relazione della perizia dei chimici, l’Ilva ha fatto subito sentire la sua voce, sostenendo come pur essendo ancora presto per esprimere giudizi, “vi è una constatazione inequivocabile sul fatto che i livelli emissivi dell’Ilva sono tutti nei limiti di legge, incluse le diossine. Noi lo sapevamo, ma è importante vederlo riconosciuto anche dai periti nominati dal Gip che hanno svolto in un anno innumerevoli sopralluoghi ed ispezioni presso lo Stabilimento dell’Ilva”.

Poi, appena tre giorni dopo, l’Ilva, quasi divertita dal silenzio istituzionale imperante, arrivava addirittura a mettere in dubbio la relazione dei chimici, affermando che “sui quesiti i periti del Gip danno alcune risposte sintetiche e secche ma poi leggendo la perizia tutto diventa meno chiaro e sicuro. Insomma a leggere le conclusioni si ha un’idea, a leggere la perizia un’altra”. Ma il gioco è sempre lo stesso: omettere la verità, tagliare le frasi a metà, confondere le acque di una relazione di 554 pagine, che, strano a dirsi per lavori del genere, contiene il dono di una chiarezza accessibile a tutti. Talmente chiara che, poche righe dopo le frasi estrapolate a proprio uso e consumo dall’Ilva, troviamo scritto quanto segue: “poiché allo stato attuale alle emissioni derivanti da questi impianti non sono installati i sistemi di controllo in continuo né viene verificato il rispetto dei limiti dei parametri inquinanti previsti dal D.M. 5 febbraio 1998 sopra detti, tali emissioni non risultano conformi a quanto previsto dalla normativa nazionale. Inoltre poiché ai suddetti camini non sono installati i sistemi di controllo in continuo alle emissioni, non c’é alcun elemento che dimostri il rispetto dei limiti”. Punto. Il discorso, per noi, potrebbe anche terminare qui. Perché basta questa semplice frase per dimostrare, ancora una volta, che l’Ilva mente sapendo di mentire. E soprattutto, quando sa di essere in torto, reagisce sempre nella stessa maniera: ovvero assumendo l’atteggiamento di chi cerca sempre una scappatoia per dimostrare la sua innocenza o la sua presunta colpevolezza dovuta però a cause da attribuire al “fato cinico e baro”. D’altronde, come spiegare altrimenti l’atteggiamento di un’azienda che puntualmente ricorre al Tar per qualunque atto venga emesso nei suoi confronti?

Negli ultimi due anni hanno fatto ricorso praticamente su tutto: contro il referendum consultivo (che però si farà visto che il Consiglio di Stato ha dato ragione ai promotori); contro la Relazione Tecnica dell’Arpa del giugno 2010, cha attribuiva alle cokerie dell’Ilva la responsabilità del 98% della presenza di IPA e benzo(a)pirene nell’aria del rione Tamburi; contro la Conferenza dei Servizi del marzo del 2011 che addebitava all’Ilva la contaminazione della falda acquifera, riuscendo di fatto a bloccare in sede regionale l’approvazione della legge sulle bonifiche delle falde acquifere; addirittura, hanno avuto l’ardire di fare ricorso contro alcune prescrizioni presenti nell’AIA rilasciatagli nel luglio scorso, ricorrendo proprio nei confronti di quei provvedimenti urgenti e non più rinviabili che diminuirebbero, anche se non in maniera esaustiva, l’impatto sull’ambiente come la copertura dei parchi minerali (tra l’altro prevista in quei famosi atti d’intesa firmati nel 2005 che, ad oggi, nessun ente si è preso la briga di andare a verificare se e in che misura fossero stati rispettati; hanno ricorso anche contro le nuove tariffazioni dell’acqua decise dalle Regioni Puglia e Basilicata per impedire che continuino a prelevare 250 litri al secondo dall’invaso naturale del Sinni per loro personale uso e consumo pagandolo un’inezia: insomma, loro ricorrono, sempre e comunque. Spesso con l’appoggio dichiarato o silenzioso di istituzioni e sindacati, e grazie ad un pool di avvocati di prim’ordine. Ricorrono contro la nostra vita e il nostro futuro, da sempre: senza che nessuno osi mettersi di traverso, visto che l’Ilva, sino all’altro ieri, è stata definita un’industria modello a livello europeo.

Possibile che dopo la perizia dei chimici nessuno, tra Comune, Provincia e Regione, abbia sentito l’esigenza di ammettere di aver sbagliato? Possibile che non abbiano il coraggio di fare un’inversione di marcia a 360° su quanto detto e fatto negli ultimi anni? Quante volte ci siamo sentiti dire che “ci vogliono le carte che dimostrino chi e quanto ha inquinato”? Quante volte ci è stato ripetuto che l’eco-compatibilità è l’unica strada percorribile per coniugare ambiente, salute e lavoro, anche grazie alla farsa clamorosa a cui abbiamo dovuto assistere a fine dicembre, dopo che i quattro campionamenti effettuati dall’Arpa Puglia sul camino E-312 avevano dato come risultato finale la somma di 0,3 nngr/m3 di diossina, dunque rientrante nel limite annuale di 0,4 previsto dalla legge regionale? Ora prenderanno altro tempo, faranno altre riunioni inutili, firmeranno atti d’intenti e protocolli fittizi, chiederanno lumi ad Arpa Puglia, CNR, Asl e quant’altri. Continueranno a prenderci in giro. Ma state bene attenti, però: perché se per vostra disgrazia l’inchiesta appurerà il nesso causale tra inquinamento e malattie, tra emissioni decennali senza controllo e le migliaia di morti, nessuno vi potrà più salvare. Non vi salverà la Storia, né il tribunale della vostra coscienza. Meno che mai vi salveranno i tarantini e l’anima di questa millenaria città. Anche se dovremo attendere altri 100 anni per avere la verità finale su tutto, noi, quel giorno, ci saremo. Fino all’ultimo respiro.

g.leone@tarantooggi.it

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